Bad robot. La tv secondo JJ Abrams

di Alfredo Sgarlato – Non discuteremo qui se il cinema sia morto, vivo o comatoso. Quel che è certo è che le serie TV hanno preso il posto del buon cinema medio, quello che sa soddisfare sia il cinefilo indefesso che il grande pubblico, e che il Re Mida delle serie TV sia JJ Abrams. Costui, per i pochi che non lo sapessero già, è l’uomo che ha creato il serial più discusso, più amato o sopravvalutato, a seconda dei gusti, dello scorso decennio, cioè Lost, e quello più simpatico o sottovalutato, cioè Fringe. Certo, Abrams ha alle spalle anche un paio di clamorosi flop, Undercover e Alkatraz, ma i suoi successi hanno senz’altro colto nel segno.

Se i temi forti presenti nell’opera di JJ (Jeffrey Jacob, NY 27/6/1966) Abrams sono tutto sommato i più classici della letteratura fantastica, la sua capacità di reinventarli e calarli nell’immaginario del nuovo millennio è senza pari. Poi, se Lost sia, come La corazzata Potěmkin, un capolavoro o una boiata pazzesca si discuterà a oltranza, solo la mediocrità non inganna e non merita discussioni. Quello che ci interessa è, in un’epoca in cui cinema e letteratura non riescono ad esprimere veri autori, cioè personaggi con una visione forte del mondo e del media che usano, l’autore simbolo di questi anni lavori soprattutto in tv. Un media che forse è già anche questo superato, dopo l’esplosione della Rete.

Autore dicevamo: Abrams, in un prodotto di consumo come può essere un telefilm di fantascienza non si spaventa di trattare i temi definitivi: la divinità, il caso e il destino, la paternità, la vita oltre la morte e/o in una dimensione parallela. Il tutto con un gusto pop e un po’ kitsch che fa l’americanata ma anche il successo. Perché un successo come quello di Lost non si ha se non si toccano certe corde intime, al punto da sospettare un complotto che ha imposto quell’orribile finale…

Notevole la capacità di scrivere i personaggi: se in Lost i personaggi sono piuttosto archetipici e si basano tutti su una positività e una negatività, in Fringe, una serie che inizialmente sembrava una brutta copia di “X Files” tutta giocata sulla simpatia dello scienziato pazzo ma poi è cresciuta enormemente, si fanno molto più complessi, anche grazie al gioco dei doppi. Potremmo fare i critici accademici e discutere della passione di Abrams per la musica “diegetica” (cioè quella che ascoltano anche i personaggi in scena) o per gli interpreti con gli occhi azzurri. Preferiamo aspettare JJ al varco di un’impresa da far tremare i polsi a chiunque ma non a lui: dirigere la nuova serie di Star wars.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato