55esima Biennale d’arte di Venezia: intervista a Claudio Almanzi

di Adalberto Guzzinati – Un giornalista ingauno ha seguito, per documentarne e raccontarne ai lettori gli eventi più importanti, la 55esima Biennale d’arte di Venezia. Si tratta di Claudio Almanzi, 61 anni, collaboratore del Secolo XIX dal 1981 e già segretario del Centro Internazionale di sperimentazioni artistiche Marie Louise Jeanneret di Boissano che ha redatto una serie di articoli anche per “ Il Corriere Mercantile”, “L’Avvenire” e svariate testate on-line italiane e straniere. “Ho incontrato – ci ha detto Almanzi- alcuni importanti artisti e critici ed ho preso parte a varie inaugurazione fra le quali quella della tradizionale collettiva Ucai all’interno della kermesse veneziana”. Il giornalista albenganese, che ha alle spalle anche un passato di gallerista, ha cercato di raccontare alcune delle figure che lo hanno colpito maggiormente e le novità e le stranezze della più grande rassegna d’arte del mondo. Fra gli artisti e critici che il giornalista albenganese ha incontrato ed intervistato ci sono stati fra gli altri Victor Alimpiev, Yuri Ancarani, Gianfranco Baruchello, Neil Beloufa e Rossella Biscotti.

“Si tratta una biennale che mi ha un po’ deluso- racconta il giornalista- soprattutto rispetto alla precedente. Pur presentando molte le cose interessanti infatti tante opere erano più da Museo che da Biennale. Ancora una volta poi mi ha colpito l’abuso dei video, l’eccessivo peso dato ad autori storici certo di alto livello, ma oggi per nulla d’avanguardia. In certi momenti sembrava di essere all’ultima Biennale di Lione, caratterizzata da video e opere da museo più che da Biennale. Certo dal punto di vista organizzativo, pratico e logistico i video danno sicuramente meno grattacapi dei quadri o delle sculture, ma a tutto si dovrebbe porre un limite”. Ed il padiglione italiano ? “Ritengo – prosegue Almanzi- che dopo una edizione come quella di Sgarbi fosse impossibile fare meglio. Anche l’idea di passare da tanti artisti a pochi eletti non sia stata delle migliori”. Ma vale la pena visitarla? “La Biennale – prosegue Almanzi- è pur sempre una occasione da non perdere. Ai Giardini e all’Arsenale ospita infatti artisti di 88 paesi e si pone quale appuntamento artistico europeo principale dell’anno. Inoltre in città ci sono decine di importanti iniziative collaterali. Il titolo “Il Palazzo Enciclopedico” spiega la volontà enciclopedica del curatore Massimiliano Gioni ed il desiderio di accumulazione del presidente Paolo Baratta”.

Quali sono state le cose più interessanti? “Fra i padiglioni più interessanti- conclude Almanzi- ci sono stati quello della Cina, dell’Inghilterra, del Venezuela, dell’ Egitto e dell’ Istituto Italo – Latino Americano, mentre sono stato molto deluso, viste le aspettative, da molte nazioni fra cui Francia, Russia e Svizzera”. Alla 55esima edizione della Biennale veneziana 10 sono i Paesi presenti per la prima volta: Angola, Bahamas, Regno del Bahrain, Repubblica della Costa d’Avorio, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Maldive, Paraguay eTuvalu. Novità assoluta è anche la partecipazione della Santa Sede con una mostra allestita nelle Sale d’Armi. In Principio è il titolo scelto dal cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, per il Padiglione vaticano, curato da Antonio Paolucci, che è anche il direttore dei Musei Vaticani. Il Padiglione Italia all’ Arsenale è curato quest’anno da Bartolomeo Pietromarchi e presenta una mostra dal titolo “Vice versa”. Il Palazzo Enciclopedico forma un unico percorso espositivo che si articola dal Padiglione Centrale, ai Giardini, fino all’Arsenale, con opere che spaziano dall’inizio del secolo scorso fino ad oggi. Includono oltre 150 artisti di 38 nazioni. La Mostra è ispirata all’ utopistica idea creativa di Marino Auriti che nel 1955 depositò all’ ufficio brevetti statunitense il progetto di un Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità. Auriti progettò un edificio di 136 piani che avrebbe dovuto raggiungere i 700 metri di altezza e occupare più di 16 isolati della città di Washington. Non venne mai realizzato, ma divenne una utopia architettonica di alto rilievo.