Festival di Cannes: palmares tra sorprese e polemiche

di Alfredo Sgarlato – Come ogni anno la giuria del Festival del Cinema di Cannes ha spiazzato gli esperti, contrariamente a quanto avviene a Venezia dove i risultati trapelano già alcuni giorni prima. Palma d’Oro a “La vie d’Adele” di Abdellatif Kechiche, film tratto da una grafic novel, che aveva fatto scandalo per le lunghe scene di sesso lesbico e che la critica aveva accolto in modo contrastante. Da parte mia tra i suoi film precedenti “Cous cous” e “La schivata” non mi avevano convinto, e non ho visto “Venere nera”, di cui mi hanno parlato come di uno dei film più brutti nella storia. Kechiche è uno di quei registi che non amo, dialoghi interminabili, camera a mano, tempo reale; mi viene il sospetto che il premio sia uno schiaffo agli integralisti che hanno contestato, anche con violenza, contro i matrimoni gay. Ma allora perché non premiare il film di Soderbergh, la storia del pianista Liberace?

Mi sembra, perlomeno al cinema, che l’omosessualità femminile faccia meno scandalo di quella maschile. Non solo, le due interpreti, Lea Seydoux e Adele Exarchopoulos sono bellissime, e così avveniva in altri film sull’argomento, come “Viola di mare” di Donatella Maiorca, o “My summer of love” di Pawel Pawlikowski; non si rischi facendo così di essere ammiccanti e fuorviare rispetto al messaggio del film? A proposito di bellissime, le due interpreti erano in lizza come migliori attrici insieme con altre bellissime e bravissime francesi, Marion Cotillard per il film di James Gray (che è piaciuto meno dei precedenti), Emmanuelle Seigner per quello di Polanski e Berenice Bejo, che ha vinto, interprete, de “Le passè” di Ashgar Farhadi, premiato a Berlino e all’Oscar per l’ottimo “Una separazione”.

Questo film era il favorito per la Palma d’Oro e si può dire che abbia avuto un premio di consolazione, così come la Bejo era data premiata due anni fa per “The artist” e invece ha vinto quest’anno. Premi di consolazione anche per altre due potenziali palme d’oro: “Inside Llewin Davis” dei Fratelli Coen vince solo il Gran Premio della giuria, ma si dice già che si rifarà con gli Oscar, e un altro film tra i più apprezzati “Nebraska”, road movie in bianco e nero di Alexander Payne (di cui vi invito a cercare il magnifico “Election”) vede premiato il protagonista Bruce Dern, personaggio di culto della Holywood anni ’70, come miglior attore. Migliore regia per “Heil” di Amat Escalante, unico film quasi totalmente stroncato dalla critica che lo ha considerato una brutta copia di Reygadas, che è già uno di quei registi che farei vedere al mio peggior nemico se ne avessi uno.

Miglior sceneggiatura per un regista pluripremiato ai festival, Jia Zhangke, con “A touch of sin”, che speriamo passi a “Fuoriorario” (augurando che, per chi non l’ha visto, ripassino il bellissimo “Platform”) e premio speciale a “Like father like son” di Kore-eda Hirokazu, che è stato comprato da una distribuzione italiana (di quest’altro grande sottovalutato consiglio l’eccezionale “Nobody knows”). Il cinema italiano non rimane a bocca asciutta: premiati “Miele” di Valeria Golino e “Salvo” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che partecipavano nelle sezioni laterali. In generale quasi tutti i film hanno convinto, ha deluso solo uno dei più attesi, “Only God forgives” di Nicolas Winding Refn, stavolta giudicato veramente troppo violento (ma dal quel che ne ho letto mi incuriosisce ugualmente).

Io ho visto solo un film, poiché assistere ai film in concorso è quasi impossibile: “L’escale”di Kaveh Bakhtiari, documentario sui rifugiati iraniani molto avvincente. Ma anche se non si riesce a vedere i film una gita a Cannes nei giorni del festival è qualcosa da fare assolutamente, anche perché si possono vedere i propri idoli salire la scalinata del palazzo del cinema, magari rimanendo delusi come me quando ho visto quella statua di plastica che una volta era Nicole Kidman…

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato