PAROLA DI CASSIOPEA – Sesso virtuale

di Cassiopea – Il mio amore è via per lavoro: sta più o meno dall’altra parte del mondo. No, non è un ricco magnate del petrolio o dell’alta finanza, è un povero cristo che lavora per una ditta che lo spedisce come una pallina da flipper ovunque ci sia bisogno del suo intervento. Come lui ce ne sono tanti e come me altre donne, fidanzate, mogli, un po’ “vedove” durante l’anno per lunghi periodi in cui pensi ad una persona che c’è, esiste, la ami e ti ama ma non c’è di fatto, non la puoi abbracciare. E per sentirla vicino devi ricorrere alla tecnologia: social network, cellulare, skype…

La cosa ammetto che ha un certo fascino per la componente del sogno: quando lui non c’è tu pensi a lui che è il tuo eroe, il tuo sogno perfetto e meraviglioso a scapito dell’uomo vero che potresti avere sotto gli occhi e a portata di mano tutti i giorni con i suoi calzini, i suoi tic e le sue manie da detestare. Ovviamente proprio queste cose quotidiane sono quelle che mancano di più: vivere insieme.

Abbiamo ovviato in parte a questa grossa mancanza escogitando trucchi e facendo piccole magie: siccome i ritmi e i tempi di lavoro e di vita sono diversi, anche per colpa del fuso orario, io lascio sempre accesa la web cam puntata sul nostro divano, quello dove ci abbracciamo arrotolati nei plaid a guardare dvd scofanando la cena… quello dove dormiamo avvinghiati come fossimo gatti siamesi dopo l’amore, con i quadrupedi incastrati tra noi a formare una scultura di arte moderna simile a un gigantesco piatto di maccheroni. Così, anche se sono fuori, lui trova casa con un click: divano, animali domestici, cuscini, plaid, lampada accesa, dovunque lui si trovi.

Qualche volta riusciamo a parlarci nonostante la stanchezza (per uno dei due è sempre notte e per l’altro l’ora di correre al lavoro, come in “Ladyhawke”) e allora attraverso la voce, il collegamento video che va e viene, riusciamo a creare una qualche sorta di intimità dove il nostro amore riesce a colmare tutto quello che manca a un vero abbraccio. In una di queste notti ho inventato un giochino che si chiama “indovina cosa”, è molto semplice e divertente. Basta avvicinare alla web cam una parte di te o qualunque oggetto, quel piccolo neo a forma di cuore che ho sul seno, un capezzolo, un ciuffo di capelli, il palmo della mano con la linea della vita e quella della fortuna… e lui deve indovinare che cos’è, e viceversa.

Non è così facile come può sembrare. E proprio l’altra sera mentre mi disegnavo sul tallone con la penna una faccina che ride per poi contorcermi per riuscire a inquadrarlo nella web cam… lui mi ha detto: «scusa, devo parlarti…». Era serissimo: «devo dirti una cosa». Aveva una faccia da funerale, anzi da morto. In quell’attimo mi è passata davanti tutta la nostra storia. Omioddio mi sono detta, ecco, mi lascia! Lo sapevo… lo sapevo… lo sapevo, ci siamo: game over! Prima o poi questo momento doveva arrivare. È perché sono troppo stupida e mi do troppo e spero troppo e sogno troppo… omioddio. Ora me lo dice, è finita, cosa faccio? Riuscirò a sorridere ancora dopo? La disillusione, il dolore, mi corroderanno da dentro: mi incartapecorirò. Diventerò brutta! Diventerò vecchia! Diventerò cinica e cattiva! Oh no! I gatti mi leccano la faccia. Piango, rido, tremo, non lo so. Sono piena di lividi. Ogni parte del corpo mi fa male. Omioddio! Cos’ho in casa? Sono completamente astemia e salutista ma devo bere un sorso di qualcosa. Qualcosa di forte. Qualunque cosa. Non ho niente. Solo tisane. Apro una lattina di lycees, quei frutti sciroppati cinesi, di solito stanno in un liquido quasi alcoolico.

Arriva un sms, è lui: «Amore, appena torno, voglio che viviamo insieme». Sono stordita, felice, infelice, non lo so come sto. Mi attacco allo sciroppo per la tosse. Butto quattro stracci in valigia, indosso qualcosa tirato su dal pavimento. Dico: «dimmi, che succede?»; poso il piede con la faccina per terra, sono scalza e ho freddo, sono nuda e comincio a tremare. Si vedrà nella web cam che batto i denti? Sento la mia voce che dice: dimmi, che succede? Sento la sua voce che dice: «io non ce la faccio più». Ecco, ci siamo. Sento i nervi che crollano come elastici molli. Vorrei dire qualcosa ma mi esce solo un sibilo, come di cornamusa svuotata d’ara, quasi un miagolio: mmmh? Lui dice: «a vivere così… sto male». Sto morendo dalla nausea, adesso vomito, adesso vomito, noo! Che orrore! Ho mangiato la pizza! Continua: «sposiamoci».

È caduta la linea, lo schermo è nero. Sono svenuta lunga distesa sul pavimento. Camicia da notte, jeans, maglione sporco, stivali, giacca a vento, berretto, mi accorgo che non ho il reggiseno, lo prendo e lo caccio in borsetta. Do la pappa ai gatti e mi precipito in stazione. Ho lasciato il pc acceso. Non ho chiuso il gas. Non ho spento la lampada, non so se ho preso il cellulare, né lo spazzolino da denti. Parlo da sola con la voce di E.T: “amica-casa”. Cosa faccio adesso? Sono per strada. Dove vado? Qui ci vuole un’amica. E ovviamente piove!

* Parola di Cassiopea: la rubrica Corsara di Cassiopea