Il divo Giulio…

di Alfredo Sgarlato – Può una rubrica che si occupa di cultura e spettacolo occuparsi di Giulio Andreotti? Certamente, poiché divo Andreotti lo è stato più di ogni attore o artista italiano, al punto che così era soprannominato; fu lui a inventare la politica spettacolo, con le sue battutine, prima di Pannella e degli ex entertainer Berlusconi e Grillo. E soprattutto di spettacolo si occupò in prima persona: fu sottosegretario e ministro nel campo ed ebbe il primo momento di celebrità quando redarguì un famoso regista dicendogli che i panni sporchi si lavano in famiglia. Il regista era De Sica e il film in questione era il capolavoro “Umberto D.”, ancora oggi attuale.

Per fortuna il tempo ha dato ragione a De Sica… Andreotti fu spesso citato al cinema, per esempio in “Todo modo” di Petri, da un romanzo di Sciascia, dove il personaggio interpretato da Michel Piccoli allude chiaramente a lui; e in un film “Il tassinaro”, di e con Alberto Sordi, appare nella parte di sé stesso. Si discusse molto all’epoca dell’incontro tra l’Arcitaliano cinematografico per eccellenza, Albertone e il politico più odiato-e più votato, perché in Italia va sempre così-se fosse piaggeria o la migliore rappresentazione possibile di vizi e virtù patrie. Andreotti è stato poi l’unico politico ad avere diritto a una cinebiografia ancora in vita, il discusso “Il Divo” (appunto), di Paolo Sorrentino. È un film che può lasciare perplessi: l’adesione mimetica del protagonista Toni Servillo e del cast intero (incredibile Carlo Buccirosso come Cirino Pomicino) fa rischiare l’effetto Bagaglino di sinistra, e l’eccessivo virtuosismo della regia da emulo di Tarantino a tratti spettacolarizza troppo la vicenda, ma è un film interessante, con alcuni grandi momenti visionari, da vedere. Dalla visione si esce con l’idea di aver visto per davvero la biografia del diavolo: un personaggio assolutamente malvagio eppure a suo modo attraente.

Del resto, come diceva Hitchcock, un film funziona se funziona il cattivo… Andreotti vide il film e gli diede l’ok, pare che il suo unico commento dopo la proiezione sia stato «ma io non sono così cinico!». In ogni caso per alcuni anni nessuna tv ha avuto il coraggio di trasmetterlo. È stato cantato, ironicamente, da Baccini, e Gaber cantava: «qualcuno era comunista perché non lo facevano ridere le battute di Andreotti». Mai analisi politica fu più ficcante, dimostrazione, se ancora ce n’è bisogno, che nessun politologo sta al pari di un artista.

Più laterale il rapporto di Andreotti con Piero Piccioni, grande autore di colonne sonore e unico italiano ad aver suonato con Charlie Parker: Andreotti lesse su una rivista del possibile coinvolgimento di Piccioni, in realtà innocente, in un famoso delitto degli anni ’50, il caso Montesi, e allora lanciò una campagna di stampa contro di lui, al fine di stroncare la carriera politica del padre, Attilio Piccioni, all’epoca vicesegretario nazionale della DC e rivale suo e di Fanfani. Piero Piccioni rischiò di aver distrutta la carriera, ma il destino è stato poi galante anche con lui come con De Sica. Ora che è morto mi aspetto un florilegio di opere su di lui e temo che, come sempre, quelle agiografiche saranno molte di più di quelle critiche.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato