In Albenga, prima dei romani…

(foto)di Francesca Giraldi – Tra le tracce archeologiche più antiche attribuibili al territorio di Albenga, riveste particolare importanza il sepolcreto preromano scoperto a circa 200 metri dal viadotto dell’Aurelia bis durante la risistemazione del margine destro del fiume Centa, effettuata tra maggio e giugno 2004. Meno conosciuto delle due necropoli romane ingaune, il sepolcreto si trovava a circa cinque metri e mezzo dal piano di calpestio attuale e rappresenta la testimonianza più antica rinvenuta nel nostro territorio. La lunga fase di interramento, dovuta ai depositi alluvionali del fiume, deve aver avuto inizio tra la fine del periodo romano e l’inizio del medioevo, in quel lungo momento definito tardo antico, così come suggerisce il ritrovamento di ceramica tardo romana sotto i sedimenti fluviali.

Il sepolcreto era composto da cinque tombe, che raccoglievano le ceneri dei defunti cremati e in tre casi anche esigui materiali di corredo, i quali hanno consentito di individuare il sesso di tre dei cinque morti. Si tratta dei resti mortali di una donna e due uomini. Nel primo caso a suggerirci il sesso è stato il ritrovamento all’interno della sepoltura di una fusaiola in terracotta, che richiama l’universo della filatura e quindi il mondo della signora della casa. L’attribuzione del sesso maschile è stata possibile grazie alla presenza di lame di coltello, sia bronzee sia di ferro, e di un rasoio semilunato in ferro. L’ultimo reperto ha anche svolto la funzione di fossile guida, ovvero ha permesso la datazione orientativa del sepolcreto alla prima età del ferro, durante il VII sec. a.C. Fu ritrovata inoltre una fibula ad arco serpeggiante in ferro, che però non è indicativa ai fini della distinzione di genere perché era indossata da entrambi i sessi.

L’analisi dei rituali sepolcrali ha grande valore dal punto di vista archeologico, perché ogni cultura elabora un proprio rito di congedo per il defunto, che può subire commistioni marginali con altre popolazioni, come l’inserimento all’interno del corredo di un ninnolo straniero, ma che mantiene inalterati, anche per lunghi periodi, i caratteri peculiari.

La prima tomba, quella femminile, era costituita da una fossa nel terreno, sigillata sul fondo e in superficie da lastre litiche. All’interno custodiva l’urna cineraria e la fusaiola. Era presente anche la tomba a cassetta, così chiamata perché l’urna cineraria e il corredo sono contenuti all’interno di un parallelepipedo costituito da lastre litiche, tipica del rituale ligure e ben documentata nella necropoli di Chiavari, coeva a quella ingauna.

Insolito è invece il ritrovamento di due tombe a pozzetto, caratterizzate dallo scavo più o meno profondo di una buca cilindrica e dalla deposizione dell’urna cineraria e del corredo in una risega del fondo delimitata da lastre litiche. Tale tipo di rituale è ricollegabile alla tradizione etrusca. Gli esempi più complessi e maggiormente studiati sono quelli ritrovati a Verucchio (RN), ma per quanto concerne il territorio ligure il ritrovamento di maggior importanza fu quello di Genova, nella necropoli di via Giulia, attuale via XX settembre, effettuato tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Le due tombe a fossa e il rasoio semilunato richiamano la cultura etrusca e ciò rende il ritrovamento di Albenga ricco di grande pregio, proprio per la rarità dell’evidenza.

L’insediamento etrusco più occidentale rinvenuto in Liguria è localizzato a Genova, da dove le navi partivano per commerciare con gli insediamenti etruschi e greci in Francia ed è datato alla fine del VI sec. a.C., anche se il porto genuate era frequentato da genti etrusche già nel VII sec. a.C. Solo sporadiche tracce di cultura etrusca si sono potute rintracciare nel Ponente ligure e in genere si tratta di frammenti di anfora, quindi di contenitori per il trasporto e il commercio di vino e olio, che in piccole quantità, come quelle reperite, indicano sicuramente transazioni commerciali, ma sono poco significative per comprovare una reale presenza di persone. Le tombe di Albenga potrebbero essere testimonianza diretta di un passaggio via terra di gente etrusca, deceduta in prossimità dell’antico insediamento ingauno, e sepolta da alcuni compagni di viaggio con le modalità tipiche della cultura di appartenenza.

Infine, accanto ad ogni sepoltura, venne ritrovata una lastra di pietra infissa nel terreno, che poteva avere la duplice funzione di segnacolo, l’antenato della moderna lapide funeraria, e di cippo terminale, ovvero un segnale di confine che indicava la fine della sepoltura, in tal modo non si sarebbero intaccate le tombe interrate già esistenti con la sovrapposizione di altre sepolture successive.

Solo analisi più approfondite sul contenuto delle urne e sugli oggetti di corredo, al momento ancora inedite e quindi non pubbliche, potranno aprire uno spiraglio più ampio sulle origine di Albenga e sulle popolazioni che interagivano con gli Ingauni.

Il sepolcreto risveglia anche la curiosità sull’esatta ubicazione dell’oppidum preromano citato dalle Fonti e mai ritrovato, ma i cui resti potrebbero essere in prossimità del luogo di sepoltura. Le ipotesi su dove possa essere l’ubicazione dell’insediamento sono sostanzialmente due, o sulla propaggine orientale del Monte, oppure al di sotto della città romana.

* Tracce e orizzonti: la rubrica Corsara di Francesca Giraldi