Political Essay – SARÀ DAVVERO TUTTA COSÌ LA CAMPAGNA ELETTORALE?

di Franco Astengo – La vicenda elettorale italiana sta dipanando la sua matassa attraverso la ricerca affannosa dei candidati, le esibizioni televisive dei soliti noti e lo scetticismo delle cittadine e dei cittadini colpiti in maniera inedita dalla crisi economica sotto l’aspetto dell’impoverimento generale e soggettivo, della disoccupazione, della crisi distruttiva del welfare in un Paese davvero governato male laddove le barelle delle ambulanze sostituiscono i letti d’ospedale.

Il tema della disaffezione della politica non viene neppure sfiorato dai “media” tutti impegnati a fornire uno spazio del tutto spropositato alle vicende, tutto sommato, interne al quadro politico, spacciandole – come ad esempio nel caso delle primarie del PD che hanno interessato, alla fine, una quota non particolarmente rilevante di elettrici e di elettori (tre milioni su cinquanta milioni di iscritti nelle liste) limitandosi, in effetti, a rimettere in pista una certa quota di attivisti, stimolati da una feroce competizione individualistica, ma che adesso troveranno sicuramente, per l’assenza di quegli strumenti operativi che erano utilizzati dai partiti di massa al riguardo della sensibilizzazione territoriale, difficoltà a trasmettere il loro messaggio.

In sostanza non pare molto diminuita la quota di potenziali astenuti e incerti che, alla fine, stando ai sondaggi continua ad aggirarsi attorno al 40% (non sarà così alla fine ma sicuramente assisteremo a un incremento in questa direzione).

Le cause di questo stato di cose risale molto all’indietro nel tempo, soprattutto nelle ragioni di una crisi morale e politica avviata con la ventata “necons” – decisionista degli anni’80, il cui obiettivo era quello di ridurre il rapporto tra società e politica tagliando il cosiddetto “eccesso di domanda”: un obiettivo colto in pieno, al riguardo del quale, nell’idea del privilegio della governabilità, nessuno degli attori in campo ha saputo contrapporre un modello alternativo.

Ecco: quello che manca, almeno fino a questo punto nella campagna elettorale italiana, è proprio una proposta di modello alternativo di società e di Stato.

Andiamo però per ordine enucleando alcuni punti specifici:

1)La raccolta delle candidature è apparsa, perdonatemi il paragone troppo facile, una sorta di caccia alle “figurine Panini”. I protagonisti di questa “corsa al personaggio” sono stati soprattutto due: il Nuovo Centro raccolto attorno al Presidente del Consiglio dimissionario e il PD. Il Nuovo Centro ha concentrato la propria ricerca nei transfughi del defunto bipolarismo. Il “tridente” che sarà presentato al Senato in Lombardia appare emblematico di questo stato di cose: direi l’esaltazione del vecchio trasformismo italico, quello dei “notabili” del passaggio da Destra Storica a Sinistra Storica, del discorso di Stradella, tanto per intenderci. Il PD invece ha cercato di costruire una sorta di “Arca di Noè” di tutte le usate tendenze presenti nell’antico perbenismo italico formando così una compagine, almeno sulla carta, di tipo corporativo. Mi permetto di insistere su questo punto: l’unica possibile sintesi della proposta che il PD, attraverso le candidature che sta esprimendo (insieme Confindustria, CGIL, CISL, ordini professionali) sarà quello della cura del “particulare” delle specifiche rappresentanze, rinunciando – come appare del tutto evidente – a misurarsi con la realtà delle nuove contraddizioni sociali. Il PD, insomma, non esprime – come dovrebbe essere compito di un partito politico – la “frattura” su cui assestare un proprio – almeno – principio di identità. Del resto la legge elettorale non consentirà a queste candidature di farsi valere specificatamente all’interno della competizione, limitandosi – le esponenti e gli esponenti – chiamati in causa a fare da sfondo, quasi da tappezzeria, agli scontri propagandistici tra i cosiddetti “leader”: in più il meccanismo della stessa legge elettorale porterà a concentrare l’attenzione su situazioni specifiche, si pensi all’esito dell’elezione senatoriale in Lombardia, impedendo di fatto una prospettiva almeno un poco più ampia nelle definizioni programmatiche.

2)I contenuti fin qui espressi dai diversi soggetti appaiono essere del tutto usati ed anche un po’ logori: la Lega Nord rimastica il progetto di Miglio sulle macro – regioni; Berlusconi, addirittura sul piano dell’architettura dello Stato ripropone – senza pudore (come è tipico del personaggio) interi passaggi del documento della “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975 dalla P2 del golpista Licio Gelli (del resto stanno lì le origini politiche del Cavaliere); il Nuovo Centro appare democristianissimo nella pratica politica e assoluta espressione di quella tecnocrazia che – a livello europeo ed anche italiano – si colloca come protagonista – attraverso essenzialmente le proprie elaborazioni teoriche – delle cause della crisi; il PD pare commettere un errore basilare, oltre a quello di essersi definito con grave ritardo sul piano della prospettiva autonoma di governo che pure dovrebbe stare nella “mission” (più o meno: “impossible”) di questo partito, non riuscendo a svincolarsi dalla sudditanza all’Europa di Maastricht e delle banche: senza un progetto alternativo su questo terreno difficilmente il Partito Democratico potrà scrollarsi di dosso l’idea di essere sostenitore, come del resto è stato, di tutti i provvedimenti che hanno provocato l’irrigidirsi della crisi che ha finito proprio per colpire la potenziale base sociale di questo partito; a sinistra la confluenza nella linea “giustizialista – legalitaria” impedirà, di fatto, una piena espressione, proprio nella capacità di progetto e di proposta immediata, delle grandi contraddizioni sociali e della prospettiva di un diverso modello di società, limitando così fortemente lo spettro di questioni che pure una campagna elettorale dovrebbe contenere, ben al di là dell’esito immediato nella raccolta dei voti. Paradossalmente, in più, questa “reductio” nella capacità di presenza della sinistra, si verifica proprio in una fase nella quale la crisi spinge verso una affermazione di centralità di quella che storicamente abbiamo definito “contraddizione di classe” e Carlo Marx viene riscoperto addirittura dai commissari dell’Unione Europea. Anche la defezione degli intellettuali di ALBA sotto quest’aspetto non assume un carattere particolarmente dirimente considerato il taglio sbrigativamente definibile “movimentista” della loro impostazione e la sostanziale internità delle loro proposte di tipo economico a un generico anti-liberismo senza toccare la soglia di una proposta di “superamento sistemico” che avrebbe dovuto essere ricercata proprio in nome di quell’intreccio tra le contraddizioni post-materialiste sulle quali pure si era verificato un primo approccio teorico (penso a un’idea di nuova costituzionalizzazione dei diritti posta al di fuori dal quadro di un rapporto diretto doveri/diritti, una cui traccia si trova nell’ultimo lavoro di Stefano Rodotà “Il diritto di avere diritti”). Il Movimento 5 Stelle, infine, otterrà in premio a un lavoro di lunghissima lena, una cospicua rappresentanza parlamentare cui toccheranno compiti ancora indefiniti, ma che comunque non pare potersi presentare come momento alternativo sul piano del progetto, se non attraverso accentuando metodologie, sul terreno dell’esercizio politico sulla base delle quali tenteranno di mettere in moto un meccanismo definibile di “populismo dal basso”.

Nella sostanza il quadro complessivo appare, dal punto di vista della capacità di espressione delle varie opzioni presenti in campagna elettorale, non prevedere un esito dal quale far scaturire un’azione di reale incidenza sui meccanismi della crisi complessiva, economica, sociale, politica e morale. Continueremo a galleggiare, ascoltando promesse sulla riduzione dell’IMU? Fino a quando?

* Franco Astengo – Savona, politologo