Su la testa 2012, interviste… corsare: Silvia Barba

di Alfredo Sgarlato – Dopo Giua incontriamo un’altra cantante bella e brava che il pubblico di Albenga ha già conosciuto in una delle edizioni precedenti di Su la Testa: Silvia Barba. Silvia, che ha ereditato da nonna e mamma l’amore per il canto e poteva lasciare l’Italia per Parigi e non l’ha fatto, da alcuni anni ha formato col formidabile bassista Pippo Matino un duo aperto alla collaborazione con altri musicisti (Zibba è un ospite abituale) che fonde jazz, canzone italiana e sperimentazione sul suono.

D.: Oggi c’è un forte movimento musicale in Italia: tempi di crisi aumentano la creatività?

R.: Non si discute che aspettiamo tempi migliori, ma la creatività dovrebbe prescindere sempre da un profitto (che sia economico o di pubblico): l’idea romantica è che gli artisti dovrebbero mettere il proprio lavoro, la propria “materia”, il proprio intento a disposizione della collettività o di una parte di essa, senza mirare a un riscontro economico. Mi rendo conto che questo è un po’ utopistico come pensiero. La realtà è che la musica, come qualsiasi altra forma d’arte, ha BISOGNO del “mercato” per essere visibile, tangibile, concreta. Se si scrivono canzoni e si fanno dischi, ma nessuno li compra, si perdono equilibrio e concretezza. Oggi, nel nostro piccolo, mi sento di dire che il mercato è invaso da qualsiasi tipo di proposta: c’è di tutto e stare dietro a tutto è impossibile. Mettiamoci pure che i soldi scarseggiano e la prima spesa a essere ridotta è quella che riguarda la cultura… Ma gli artisti, non devono né scoraggiarsi né implodere nel filone che oggi sembrerebbe dare più profitto: dovrebbero rimanere autentici, onesti, perseveranti nella ricerca di quello che sanno fare meglio. Crisi o non crisi, l’onestà della propria arte è un dovere nei confronti di loro stessi e del pubblico che li segue.

D.: Chi suona musica d’autore trova molto meno spazio rispetto alle cover band; qual è la vostra esperienza?

R.: Noi siamo un ibrido, ovvero suoniamo cover e brani scritti da noi, privilegiando l’aspetto creativo e interpretativo anche quando riarrangiamo pezzi di altri. Forse mi ripeto, ma credo che bisogna fare quello che si sa fare meglio. Se un brano di Dalla mi rappresenta, non ci trovo nulla di male a “farlo mio”… i jazzisti o i musicisti classici in questo sono il massimo esempio che non c’è così tanta differenza di importanza tra chi scrive musica originale o riprende brani scritti da altri: suonano standards, che a loro volta hanno suonato altri prima di loro e ogni volta è come se fosse un brano “nuovo” perché reinterpretato. Ciò che conta è sentire ciò che si sta suonando.

D.: La Liguria è davvero la terra dei cantautori? E come trovi il pubblico ligure rispetto a quello di altre parti di Italia?

R.: La Liguria è bella! È una terra strana, è una terra di contrasti. Non so se sia la terra dei cantautori per eccellenza. È certamente la terra dei cantautori che piacciono a me, di “tradizione”: Fossati in primis, ma anche Tenco, De Andrè… e a seguire Paoli… È innegabile che in Liguria siano state scritte alcune tra le più belle canzoni della storia della musica italiana, ma non renderei ancor più “regionale” questa predisposizione. Riguardo al pubblico, è risaputa la mia affezione: per una serie di coincidenza iniziali, si sono instaurati dei rapporti molto intensi con i liguri, torniamo spesso e con uno spirito affettivo, legato a un’idea di condivisione artistica e relazionale molto forte. Insomma, molti amici e un pubblico particolarmente ben disposto verso di noi. L’ho detto che la Liguria è bella!