di Franco Astengo – Le primarie del PD, erano state definite al momento della loro gestione come la “fiera delle vanità”, un momento di esaltazione della personalizzazione della politica, da respingere seccamente.

Via, via che l’itinerario di questa competizione elettorale si è snodato nel corso del tempo fino al suo esito finale, si è compreso che si stava trattando di qualcosa di ancora diverso, maggiormente negativo, più pericoloso.

L’impianto mediatico che ha retto le primarie è risultato imponente: per almeno due mesi queste hanno rappresentato il “focus” di tutte le vicende riguardanti il sistema politico italiano, ottundendo – almeno parzialmente – la visibilità e la comprensione degli altri fatti che stavano accadendo: dai provvedimenti di natura sociale del governo sempre rivolti unilateralmente “contro” i ceti sociali più deboli, all’inasprirsi della crisi economica e finanziaria a livello internazionale, all’esplosione del conflitto tra lavoro e salute in un caso eclatante come quello di Taranto che ha posto anche in evidenza l’estrema debolezza di ciò che resta del nostro sistema industriale, al profilarsi di conflitti istituzionali di grandissima portata come quello – ormai dimenticato ma che in questi giorni dovrebbe tornare in primo piano – tra il Presidente della Repubblica e la procura di Palermo, accusata di lesa Maestà, al governo dei “tecnici” dimostratisi incapaci di governare al di fuori della logica dei decreti leggi, come hanno dimostrato i casi della legge anticorruzione e di quella elettorale (al riguardo della modifica della quale, se mai esistesse una qualche volontà del Parlamento di modificarla davvero, l’assenza di un governo politico si è sentita eccome).

Si tratta soltanto di alcuni esempi, il cui elenco potrebbe prolungarsi parecchio. Eppure le primarie hanno tenuto banco, indiscusse: nessuno, o quasi, ha segnalato come risultassero, alla fine, una battaglia politica ai fini dello stabilire rapporti di forza interni, senza nessun obiettivo plausibile di spostamento effettivo del potere laddove questo, in Europa e in Italia, viene esercitato concretamente.

Abbiamo ascoltato frasi che avrebbero dovuto essere stigmatizzate immediatamente, del tipo: “ se vinco io, lunedì cambio tutto”. Ecco mistificazioni di queste genere non le sentivamo dai tempi in cui si contrabbandava la legge elettorale maggioritaria quale risoluzione di tutti i mali dell’Italia, afflitta – almeno apparentemente, in quella fase, da un dilagante fenomeno corruttivo che investiva la politica e l’industria.

Nessuno, o quasi, ha cercato di spiegare che il fine di questa clamorosa messinscena non era l’acquisizione di un potere per cambiare le cose o mantenere lo “status quo”, ma quello – sottile e perverso – di rifidelizzare masse di cittadine e di cittadini da usare poi come fattore moltiplicante dentro ai futuri scontri elettorali.

Lo scopo vero era semplicemente quello di imprimere una svolta ai sondaggi. Quei sondaggi che, ormai, rappresentano il metro di misura effettivo di un “agire politico ormai ridotto alle dichiarazioni, alla partecipazione ai talk-show televisivi, alla presenza sul web che – in maniera altrettanto mistificatoria – qualcuno contrabbanda quale sede di una nuova ideale “democrazia diretta” (“democrazia diretta”: colloquio immediato tra il Capo e la massa).

Un obiettivo, va riconosciuto, pienamente centrato anche se la partecipazione al voto si è verificata in una dimensione numerica ridotta rispetto ad altre passate occasioni che pure avevano avuto caratteristiche diverse.

Due fatti hanno davvero impressionato: l’adesione unanime di tutti coloro che reggono il sistema dei “media” in questo Paese, in una forma quasi totalitaria come se (avviene usualmente in questo campo) si fosse subodorata l’aria di un grande affare mediatico, come, in effetti, è stato, e la totale assenza – non tanto e non solo di contenuti programmatici – ma di un’idea “sistemica” nella capacità e nella possibilità di affrontare le contraddizioni sociali.

La personalizzazione, l’individualismo sembrano ormai aver sostituito – nell’immaginario di grandi masse – l’idea della politica esercitata in nome delle contraddizioni sociali ed, in particolare, di quella che avevamo definito “contraddizione di classe”, sulla quale per altro i padroni continuano ad esercitarsi con grande accanimento, dopo averla fatta definire ideologicamente superata.

Le primarie sono state parte di questa grande occultamento della coscienza collettiva ormai in atto da tempo, nascondendo – dietro il mantello di un’ulteriore degenerazione della “autonomia del politico” – la realtà effettuale e cercando di impedire una riorganizzazione, prima di tutto politica, degli “attori” potenzialmente protagonisti di un vero scontro sociale e politico.

La responsabilità di chi ha promosso questa situazione è enorme: una responsabilità storica che non potrà essere facilmente superata. È necessario porsi con grande determinazione all’opposizione di questo stato di cose, reclamare una “diversità”, evitare la confusione di un intreccio di temi che, alla fine, potrebbe farci ritrovare, grazie ad un accorto uso della propaganda e del politicismo, sullo stesso terreno dell’avversario.

Perché di avversario si tratta: per chi intende muoversi in direzione del prossimo appuntamento elettorale allo scopo di presentare una formazione posta al di fuori dal quadro proposto – appunto – dalle “primarie” sarà bene riflettere, davvero, su quale orientamento di fondo assumere, da quale parte realmente collocarsi.

* Franco Astengo – Savona, politologo