Ergastolo anche in appello per Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni

di Sergio Bagnoli – Ieri pomeriggio ad Allahabad, capitale del popolosissimo Stato indiano dell’Uttar Pradesh, i giudici dell’Alta Corte hanno respinto il ricorso avanzato contro la condanna in primo grado di Tomaso Bruno di Albenga e della torinese Elisabetta Boncompagni accusati dell’omicidio dell’amico Francesco Montis, pure lui proveniente dal capoluogo subalpino, avvenuto in una stanza di una modesta pensione di Vanarasi, che dell’Uttar Pradesh fa parte, città santa dell’induismo nell’ormai lontano 2009. Montis, già malato, si era sentito male alla presenza dei due compagni di viaggio e, nonostante le disperate richieste d’aiuto avanzate al personale dell’albergo da Bruno e dalla Boncompagni, nulla si era potuto fare per salvargli la vita.

Questa è la versione dei fatti sempre sostenuta, negli ultimi due anni e mezzo, dagli avvocati difensori degli italiani e dalle famiglie dei condannati. La polizia indiana, però, avvalendosi anche delle contorte e contradditorie testimonianze del portiere della pensione ove i tre compagni di viaggio avevano preso alloggio, nonché degli incerti esami autoptici compiuti sul corpo della vittima da un odontoiatra, sin dalle prime ore successive alla morte di Montis ha sempre sostenuto la tesi dell’omicidio per futili motivi e da quel lontano giorno del 2009 ha sempre tenuto rinchiusi in carcere la Boncompagni e Bruno. Il primo grado del processo condotto dinnanzi al Tribunale di Vanarasi al cospetto di un giudice assai svogliato, che amava mandare il dibattimento per le lunghe, si concluse nella maniera più sfavorevole ai due giovani italiani che vennero condannati all’ergastolo. Secondo gli avvocati indiani di Bruno e della Boncompagni vi erano però concrete possibilità che la sentenza di primo grado potesse essere ribaltata in appello e così proposero ricorso.

Ieri i giudici dell’alta Corte di Allahabad, città sacra ad Allah giacché nello Stato dell’Uttar Pradesh accanto ai tanti Indù vivono pure milioni di Musulmani, ha gelato le loro speranze ed ha confermato la sentenza di primo grado. Ora la prospettiva che Bruno e la Boncompagni debbano trascorrere il resto della loro vita dietro le sbarre di un puzzolente carcere indiano è più che concreta. I genitori dei due condannati sono immediatamente volati a Nuova Delh, la capitale dell’India ove ha sede la Corte Suprema che quasi certamente sarà chiamata ad esprimersi in ultima istanza sull’accaduto. Nella Capitale federale indiana, oltre ai loro avvocati, incontreranno pure l’Ambasciatore italiano Giacomo Sanfelice già chiamato a dipanare la spinosa questione dei nostri due marò Latorre e Girone che sempre gli indiani da mesi trattengono, prima in carcere e poi impedendogli di lasciare il Paese, accusandoli di omicidio.