Anniversari: Michelangelo Antonioni

di Alfredo Sgarlato – Il 29 settembre di cento anni fa nasceva a Ferrara Michelangelo Antonioni, insieme a Fellini il più innovativo e originale tra i registi italiani. Dopo un lungo apprendistato come critico e poi documentarista Antonioni debutta nel lungometraggio a soggetto nel 1950, in età avanzata rispetto ai colleghi stranieri, con “Cronaca di un amore”, il secondo film di svolta nella storia del cinema italiano.

Il primo era stato, nel 1943 “Ossessione”, di Luchino Visconti, il primo film per cui si parlò di Neorealismo, ovvero di una rappresentazione della realtà estranea alla censura e alla retorica imposte dal fascismo. Con “Cronaca di un amore” Antonioni realizza un’opera all’avanguardia, che nega i modelli di origine letteraria in voga, melodramma, noir, pur mantenendone i meccanismi narrativi. Antonioni elimina le scene madri, le esasperazioni recitative, il lieto fine, realizzando un film di una modernità stupefacente.

Con “I vinti” (1952) Michelangelo ha problemi con la censura: in questo film, che mette scena un ritratto cupo e nichilista della gioventù, non gli viene perdonato l’aver mostrato un giovane assassino con idee politiche (sebbene neofasciste, che pure erano in teoria perseguibili). “Il grido” (1957) è un ulteriore passo avanti nella descrizione del male di vivere. Alla brillante riuscita del film contribuisce la scelta del regista di dare un ambientazione operaia, scelta che spiazzò la critica marxista ortodossa per cui la depressione è una malattia borghese e i lavoratori hanno solo problemi di classe.

Da allora Antonioni fu apprezzato solo dalla critica scevra da pregiudizi ideologici. Ma a far assurgere Antonioni all’Olimpo degli autori è “L’avventura” (1960), film che alla prima proiezione spaccò la critica in due, boiata pazzesca o capolavoro assoluto. Ovviamente è giusta la seconda, “L’avventura” è, insieme a “La Dolce Vita” di Fellini, il film che porta nel cinema italiano la definitiva rivoluzione formale, basata sull’assoluta libertà narrativa, che avevano avviato in Francia i registi della Nouvelle Vague. Dopo questo film e i seguenti, “La notte” (1961, splendido) e “L’eclisse”(1962, il più sperimentale e forse quello meno riuscito) Antonioni fu superficialmente bollato come “il regista dell’incomunicabilità”.

Certamente di questo si parlava nei suoi film ma anche di molto altro: Antonioni, con Fellini, Bergman e pochi altri è il perfetto narratore di una società che passava faticosamente dall’antico al moderno, con tutto il carico di nevrosi che ciò comportava. Temi che si acuiscono in “Deserto rosso”(1964), suo primo film a colori. “Mi fanno male i capelli”, si dice in un dialogo del film. Molti all’epoca risero. Invece chi ha una formazione psicoterapeutica si rende conto come una sola frase renda il male di vivere e l’incapacità di esprimerlo. Questi film non sarebbero potuti esistere senza la Musa di Antonioni, Monica Vitti, attrice e donna stupenda. Michelangelo, come Bergman, e Truffaut adora le donne, ne è stregato, e quasi tutti i suoi film sono ritratti femminili.

Oltre alla Vitti, Lucia Bosè, Alida Valli, Vanessa Redgrave, Maria Schneider e molte altre sono state lanciate o valorizzate da Antonioni. Con “Blow up”(1966) nuova rivoluzione. Questo film, ispirato al racconto di Julio Cortazar “La bava del diavolo”, si svolge nella swinging London, tra artisti modelle e gruppi rock. Lo stile cambia radicalmente: dalle sequenze lunghissime dai primi film a un montaggio convulso e frammentato. È ancora un noir senza soluzione: tema l’apparenza e l’essenza della realtà. Antonioni cerca il mistero delle cose, ma non gli interessa risolverlo. In questo film e nel successivo “Zabriskie point” (1970), film sulla contestazione studentesca di cui però, diversamente da quanto aveva saputo fare col film precedente, Antonioni non coglie l’essenza e si limita ad illustrare, la musica assume un ruolo fondamentale. Yardbirds, Pink Floyd, John Fahey, Herbie Hancock ed altri musicisti all’avanguardia punteggiano le sequenze. “Professione: reporter”(1975), con un grane Jack Nicholson è l’ultimo capolavoro.

Poi, come spesso accade ai Maestri, Antonioni riesce a lavorare sempre meno, i suoi ultimi film sono di difficile interpretazione. “Il mistero di Oberwald” (1981, da una piece di Cocteau), è un esperimento subito invecchiato. “Aldilà delle nuvole”(1995), ed “Eros”(2005), danno una sensazione di incompleto, sembra quasi di leggere un blocchetto di appunti per un film da realizzare. Antonioni muore il 30 giugno 2007. Per uno strano gioco del destino poche ore prima era morto Ingmar Bergman, altro gigante della settima arte.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato