GLI ESAMI DI MATURITÀ NON FINISCONO MAI

di Sandra Berriolo – Ma perché si chiama esame di maturità? Anagraficamente non può essere. Intanto perché quando è stato istituito la maggiore età era a 21 anni. E poi per persona “in età matura” si intende almeno un cinquantenne, e dico almeno. Allora forse si intende persona in grado di essere responsabile di se stesso, economicamente (lavoro?) e moralmente.

E come la mettiamo allora con l’esperienza che è condizione necessaria sia per lavorare stabilmente che per discernere le situazioni della vita e affrontarle in modo giusto (che poi così non è perché si continua a sbagliare per sempre)? Allora forse si intende per “maturo” il ragazzo che è in grado di sostenere la responsabilità di una famiglia o di sopportare il peso della parte anziana e malata di essa? Quindi il maturo può contemporaneamente insegnare ai bambini ad essere persone adatte al mondo che li circonda pur rimanendo onesti; e pensare che quello che ora è rimbambito un tempo è stato utile al mondo, anche nel suo piccolo.

Forse invece per “maturo” si intende uno che non tiene il volume della musica in auto a palla, che non necessita di droghe per essere contento, che non deve picchiare allo stadio per sentirsi vincente, che sa rispettare una donna pur ammirandola molto; forse è una ragazza che non deve vestirsi poco per sentirsi a proprio agio o fumare dieci sigarette una dietro l’altra credendosi sexy.

Potrebbe essere maturo uno che ha capito che se non ha studiato prima, e se non si è interessato di ciò che succede nel mondo, anche se gli danno il titolo del tema tre giorni prima scriverà belinate lo stesso.

* La Nonna del Corsaro Nero: la rubrica Corsara di Sandra Berriolo