Progetto Htichbox Davide Manti

di Alfredo Sgarlato – Davide Manti è un artista nato ad Albenga e che attualmente vive a Bologna. Si è laureato in Architettura all’Università di Genova con una tesi su case e fantasmi nel cinema horror, lavoro che è risultato vincitore nel 2002 del premio “Filippo Sacchi” del sindacato cinegiornalisti italiani (SNGCI) per le migliori tesi di argomento cinematografico. È architetto, pittore, montatore cinetelevisivo, scrive articoli su alcune web-zine italiane (tra cui www.archandweb.com); è autore di “Ca(u)se perturbanti. Architetture horror fuori e dentro lo schermo. Fonti figure temi” (Lindau, 2003), “Lo schermo infestato: Architetture perturbanti nel cinema” nel volume collettivo “Spiriti inquilini. Le case ‘infestate’ fra palcoscenici e tribunali” curato da G.Mina (Besa, 2008) e “Orrori in movimento”, in Moviement, Horror Made in Italy, Gemma Lanzo editore, Manduria (Ta), Ottobre 2009. Attualmente insegna Tecnologia a Bologna; è inoltre collezionista di macchine fotografiche antiche e di pellicole a passo ridotto con cui monta collages e filmati di found-footage.

Dopo l’apprendistato espone per la prima volta le sue istallazioni ed il video co-diretto con Michele Brancati. Il progetto, chiamato Hitchbox, è in esposizione a Bologna allo spazio elastico a partire dal 4 maggio. Spiega l’autore: Il progetto nasce dal nostro incontro grazie a conoscenze comuni…abbiamo scoperto di avere anche un altro grande amico in comune: il grande Sir Alfred. Soprattutto quello del periodo inglese, ancora piuttosto vincolato dal punto di vista visuale dalle convenzioni cinematografiche ma già una pentola a pressione per quel che riguarda tematiche ossessive, ironiche, voyeuristiche, claustrofobiche, sessuofile fino allo psichiatrico, materie che esploderanno poi nei capolavori degli anni sessanta.

Le stesse che danno origine al cortometraggio H.C.H.C.O.K?

Assolutamente sì. Il nostro lavoro gravita attorno ad alcuni punti fermi come il tema dell’ingabbiamento, dell’incastro del corpo che porta con sé, come corollario, l’ingabbiamento della visione, del POV (come si usa dire adesso) che corrisponde a quello dello spettatore anch’esso quindi messo in gabbia anche se consapevolmente (ha pagato il biglietto per questo!). È per questo che ad osservare la stanza principale, al confine con la vetrina della galleria che dà su strada, quasi come un guardiano abbiamo collocato EYECAGED (2012) nel cui cinescopio scarnificato si riconosce l’occhio vispo di Alfred Hitchcock, assolutamente mobile ma sadicamente rallentato, un occhio interiore abituato a sconfinare nella fantasia e qui presentato ingabbiato dentro una pesante prigione per cani. Quasi a rimarcare la sua situazione da Codice Hays, da cui tra l’altro è riuscito sempre a svincolarsi in un modo o nell’altro.

Hanno scritto a proposito di Davide Manti: le opere di Davide Manti partono da un riuso di materiali e reminiscenze legate al concetto di istante trascritto su un supporto, spesso deperibile. Nella fruizione fotografica (su grande formato) l’artista nota che l’occhio è costretto a saltare tra miriadi di particolari che ricostruiscono la totalità dell’esperienza, come peraltro avveniva nel cinema delle origini (Meliés e Lumiére in primis). Da ciò l’apparenza delle sue superfici solcate e “sezionate” verticalmente da centinaia di frammenti assimilabili a sequenze di fotogrammi, salti spaziali, lampi e visioni parziali, il tutto catturato da riproduzioni fotografiche ottenute da riviste di moda e di viaggi (là dove cioè la fotografia stessa diviene industria). Le opere inoltre si dichiarano ironicamente in tutta la loro oggettualità: in alcune si citano non a caso formati di proiezione, colonne sonore e forature di celluloide ingrandite che “incastrano” (framed) la composizione. L’artista sembra voler rappresentare così il concetto di de-frammentazione di una cultura “esplosa”, che si salva attraverso il recupero di materiali apparentemente obsoleti, attribuendo nuova dignità a immagini nate per una serialità di stampo mercantile (Maurizio Inchingoli).