Antonio Tabucchi, straniero d’Italia

di Alfredo Sgarlato – Poche volte rimango soddisfatto dalla lettura di un romanzo italiano: quasi sempre li trovo esercizi di narcisismo che di fatto non parlano che di sé stessi e non trovano il linguaggio giusto per farlo. Una delle rare eccezioni è stata “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi, storia di un critico letterario sotto la dittatura di Salazar in Portogallo (una di quelle considerate, chissà perché, “all’acqua di rose”), che passa dall’ignavia all’opposizione fattiva contro il regime.

Anche lo stile, oltre all’ambientazione esotica, mi colpì: quella continua ripetizione del titolo che potrebbe essere fastidiosa e invece si fa elemento distintivo. Al contrario di Pereira Tabucchi non esitò mai a prendere posizione, pur facendolo sempre con eleganza e distacco, cosa che ne fece uno dei peggiori nemici degli opinionisti snob populisti, che non gli perdonavano di non votare il Cavaliere e ignoravano i suoi attacchi ancora più feroci a Veltroni o agli amici di Cesare Battisti.

Il Portogallo fu una seconda patria per Tabucchi, che anche nei tratti del viso ricordava due grandi artisti portoghesi, il suo idolo Pessoa e Manoel de Oliveira. Eppure il suo esordio nel 1973, a trent’anni, si intitolava “Piazza d’Italia” ed era la storia di una famiglia di anarchici.

Si dice avesse scelto di vivere a Parigi dopo aver visto “La Dolce Vita”, aveva alternato la capitale francese con Lisbona e molti suoi romanzi parlano di viaggi, come “Notturno indiano”, il maggior successo. Un raro esempio di scrittore colto e raffinato che pure superava lo stretto recinto dei lettori forti.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato