di Sandra Berriolo – Io ho visto cose che voi umani non avete visto. In teoria basta Vecchioni su un palco per far felice un’orda di albenganesi. In pratica non bastano ore di lavoro perché tutto funzioni bene. Vi risparmio le ore di aperitivi per l’organizzazione della truppa, i dubbi sottoposti a Gino Rapa a tutte le ore del giorno, la ricerca negli armadi di questo e quello per trovare la tovaglia con i quadretti abbastanza grandi da essere distinti anche da lontano, la sofferta decisione sull’addobbo del palco (a destra, a sinistra, tutto davanti, troppo alto, troppo basso, troppo vicino alle scale, ecc), l’attesa estenuante dei musici che – comportandosi da artisti – sono dotati di un proprio orario mentale.

Comunque la giornata fatidica inizia ufficialmente alle dieci; in realtà alle sei e mezza c’è già scambio di messaggi su facebook e via sms tra la manovalanza in fremente agitazione. Alle dieci al raduno all’Ambra presenti solo, oltre al direttore megagalattico Rapa: il curatore del service, che monta materiale per la fonica per almeno due ore, da solo, maledendo sottovoce il palco in discesa che rotola giù roba; gli ardimentosi Fieui che, in sei o sette, nelle stesse due ore compiono l’impresa di erigere lo sfondo giallo-fionda (basso a destra, basso a sinistra, troppo alto dalla galleria non si legge, troppo basso dalla platea si vede il legno che sostiene) e altri stendardi di arredamento. Ma in mezz’ora la confusione è totale.

Quando Luca Mazzara riempie il palco di tamburi cresce l’ansia per capire se si riesce a far stare tutto là sopra. Segue la dodicesima riunione di cervelli (in mezz’ora) per decidere se il tavolo deve esserci già o se si mette dopo (tavolo e tamburi no, i bambini in fila per due o per quattro, le aste dei microfoni troppo avanti, il sipario non passa, a proposito: chi apre il sipario?). Insomma le solite cose; vai a casa alle dodici e trenta e quando torni alle quattordici e quindici alcune di quelle cose son cambiate. È normale. Ciascuno dice la sua e in quel momento sembra la cosa più giusta. Per l’entrata dei gendarmi e dei bambini abbiamo cambiato idea quattro volte per tornare poi alla prima indicazione.

Il fatto è che Rapa dà incarichi di responsabilità (tu istruisci i gendarmi, tu vai al parcheggio degli ospiti, tu porti l’acqua per il palco) ma noi siamo così democratici che chiediamo a tutti i presenti cosa ne pensano e alla fine chiediamo anche a lui. Si aprono le porte. E mentre la gente affluisce non tanto alla spicciolata (espressione di moda ma non adatta in questo caso) sale la solita ansia dell’ultimo momento. Ok i microfoni son numerati, il premio c’è, l’acqua anche, il copione legato al collo che se lo perdi sei licenziato, i ragazzini pascolano con Mazzara dietro il sipario, la Migliardi rifinisce il trucco, Mesiano saluta i fans, ma Vecchioni arriverà? Si, tranquilli: sta schiacciando un pisolino a casa di Rapa.

Metti la testa fuori dal tendone azzurro polvere (o polvere azzurra) e guardi in sala. Ma sono matti? Han fatto sedere vicini Vaccarezza, Schneck e Vannucci! Non è una questione politica, ma di sicurezza ambientale: reggerà quella parte di poltrone a tale prestanza fisica? Incroci le dita. Applauso fragoroso, è arrivato. Da quel momento non vedi lo spettacolo ma lo senti come alla radio, vedi la nuca di Ricci, la giacca di Rapa che scivola dalla sedia, i fari di fronte piantati negli occhi, quelli che servono a far vedere bene voi là davanti. Poi continui a controllare il Tapiro che dà fastidio sul tavolino (perché sopra ci sono anche la Fionda, l’acqua, le stoviglie per la farinata, il sacchetto col piatto-premio, i microfoni, la penna, il telefono per chiamare Alfredo per la farinata, la bottiglia di vino…).

Poi finalmente ti passano il piatto con la farinata in eccesso, che non puoi scendere a posarlo in camerino sennò ti si vede passare sul palco, allora lo sistemi sotto al tavolino ma sopra il cumulo dei cavi dell’impianto fonico, col rischio che crolli. E poiché a mezzogiorno non hai mangiato per l’agitazione, ma ora sta procedendo tutto come Rapa ha programmato, non resta che papparsi due fette di farinata, in piedi con Mesiano, mentre voi ascoltate una canzone belli comodi e commossi.

Alla fine è andato tutto liscio. Ma mentre voi vi accalcate sperando in un autografo tu riporti i microfoni, da quattrocento euro l’uno, sani e salvi al fonico, butti via quello che non serve più, riconsegni la mitica tovaglia alla proprietaria, fai ordine in camerino, cerchi la giacca di Ricci che si credeva persa. Mentre i soliti duecento corrono in cantina Vio a brindare qualcuno di noi ancora raccoglie fogli di carta sotto le poltrone, altri portano via il famoso tavolo e le sedie e gli addobbi. Passi ancora un attimo da Alfredo a consegnare il vassoio e le stoviglie della farinata e finalmente arrivi in cantina Vio quando restano una panissetta e due panini e Vecchioni sta salendo in auto per tornare a casa.

(Queste righe sono una interpretazione ironica; è evidente che, seppur stancante, una giornata come quella di ieri è indimenticabile anche per me; inoltre, trattandosi di prestazione volontaria, nessuno di noi è obbligato a lavorare. Certo, volendo fare le cose il meglio possibile, le ultime ore sono frenetiche…)

* La Nonna del Corsaro Nero: la rubrica Corsara di Sandra Berriolo