Political Essay – Ancora una riflessione sul quadro politico italiano

di Franco Astengo – Spero mi sarà permessa una riflessione, del tutto succinta e schematica, sullo stato delle cose in atto all’interno del quadro politico italiano: una riflessione che avrei l’ambizione fosse utile quale vero e proprio schema per un ragionamento complessivo sulle prospettive di una “sinistra possibile”.

Partiamo, allora, dall’enucleare alcuni dati che mi appaiono incontrovertibili: il governo Monti che qualcuno, oggi, comincia a definire “la Tachter italiana” necessita da subito di un’opposizione da sinistra, che si sviluppi nel Paese e nelle istituzioni in forma organica cercando di superare attraverso la capacità d’espressione di una proposta politica le varie forme, complesse e anche contraddittorie, di protesta sociale di diversa natura che stanno agitandosi in questi giorni; lo stesso governo Monti, il cui premier oggi parla di “consenso dal paese” e di piacere di “incalzamento da parte dei partiti” si propone oggettivamente quale punto di riferimento del sistema, attorno al quale i soggetti politici saranno chiamati a breve termine a riallinearsi, in u n processo di scomposizione/ricomposizione molto simile a quello verificatosi con l’implosione dei grandi partiti di massa, verificatosi attorno alla crisi del ’92-’93.

A questo proposito appare del tutto priva di senso la linea sui “sette pilastri di saggezza” enunciati qualche giorno fa sulle colonne del “Manifesto” da Alberto Asor Rosa: non tanto e non solo perché non contenessero valutazioni ragionevoli, ma soprattutto perché sbagliate proprio dal punto di vista dell’indicazione politica complessiva.

Così come ha altrettanto poco senso il recupero dell’idea della cosiddetta “foto di Vasto” che, molto presto, risulterà del tutto superata dagli avvenimenti: il PD, per forza di cose e per ragione della sua natura di fondo, non potrà far altro che allinearsi alla collocazione politica che il governo Monti indicherà sulla strada della costruzione di una nuova “coalizione dominante” della quale il PD non può permettersi il lusso di star fuori.

Restano in campo due opzioni: quella movimentista/personalista, il cui rendez-vous avverrà a Napoli proprio in queste ore. Sulla scorta della mobilitazione referendaria della scorsa primavera e dell’esito delle elezioni amministrative di Napoli e Milano, appoggiata dal Manifesto che pare averne sposato in pieno le istanze, corroborata dall’idea del “benecomunismo” (sicuramente un’ipotesi forte e importante) e dalla popolarità dei suoi nuovi capi-popolo, l’idea di sviluppare una forte mobilitazione a livello sociale su determinate “issues” e con precisi riferimenti territoriali superando l’idea del partito politico tradizionale, sostituito dalla “rete”, da forme di democrazia diretta alimentate anche dal dibattito che si sviluppa sul web, e dalla proposta di proiezione istituzionale attraverso il meccanismo della promozione di candidature sulla base dell’idea di una positiva “personalizzazione della politica”, appare sicuramente un’opzione particolarmente importante e significativa che presenta però, a mio giudizio, un limite di fondo sul terreno della non rintracciabilità delle contraddizioni sociali da riunificare in progetto politico.

L’altra opzione è quella che personalmente sostengo da qualche tempo, a partire da una valutazione di sostanziale assenza di rappresentatività per la sinistra italiana erede delle grandi tradizioni socialista e comunista, oltre che di quella azionista (rimane sullo sfondo il tema dell’ambientalismo che andrebbe affrontato, a mio giudizio, attraverso un’ulteriore riflessione).

La tradizione della sinistra italiana ha bisogno di essere politicamente rappresentata da un’adeguata soggettività politica, a partire dal grande retroterra della difesa della Costituzione nella sua essenza più importante dal punto di vista della qualità dell’agire politico, nella prospettiva Europea, nelle fondamentali idee della programmazione economica, dell’intervento pubblico, dell’aggiornamento del welfare, della ricerca di nuovi livelli di compromesso sociale all’insegna del riequilibrio nella ricerca di solidarietà ed eguaglianza, nel superamento delle ristrettezze ideologiche passate: riassumo nella sostanza, serve una sinistra unitaria fondata essenzialmente sulla contraddizione capitale/lavoro, capace di intrecciare a questa le altre contraddizioni emergenti nella loro forma più avanzata, offrendo sponda politica ai movimenti e lavorando per un forte radicamento sociale, nella crescita di un gruppo dirigente complessivo, a livello centrale e periferico.

Obiettivo di fondo per questa seconda opzione: l’offerta, all’interno di quello che sarà il nuovo quadro politico italiano, di un’alternativa di fondo che non risulti essere una semplice alternanza rivolta alla eterna inutile caccia all’elettore “mediano” oppure una condanna al fuoco eterno dell’opposizione.

Sarebbe necessario un forte gruppo dirigente promotore che, a questo punto, non potrebbe che nascere da un’autoconvocazione (l’occasione della ricorrenza dei 120 anni dalla fondazione del Partito dei Lavoratori?) cercando di mettere in contatto l’esistente che non può ovviamente essere trascurato: Sel, PRC, PdCI e altri settori pure importanti quali il nuovo Partito d’Azione e soggetti non partitici ma “trasversali” dal Network per il Socialismo Europeo al Gruppo di Volpedo (scusandomi con chi sicuramente è stato dimenticato).

Avevo promesso di essere schematico, dunque mi fermo a questo punto, lasciando ai miei cortesi interlocutrici/interlocutori la possibilità di una riflessione della quale spero saranno così gentili di farmi parte.

* Franco Astengo -Savona, politologo