di Franco Astengo – L’inasprirsi della crisi che sta presentando il suo conto più salato ai ceti deboli della società, ai giovani disoccupati, alle donne, agli operai espulsi bruscamente dal processo produttivo e privati dei diritti sacrosantamente ottenuti con la lotta dei propri padri, presenterà sicuramente occasioni di forte innalzamento nella qualità delle lotte sociali.

Da qualche parte, addirittura, si getta l’allarme per una possibile ripresa di una presenza di una qual forma di fiancheggiamento del terrorismo riecheggiando quegli anni di piombo, dai quali si uscì – è bene ricordarlo – grazie ad un grande sforzo unitario all’interno del quale fu centrale il ruolo della classe operaia: i funerali di Guido Rossa, svoltisi in Piazza De Ferrari a Genova città-simbolo della classe operaia italiana là dove i tedeschi si arresero ai partigiani e fu cacciato in piazza il governo Tambroni appoggiato dall’MSI, simboleggiarono tragicamente il momento decisivo di quel passaggio storico.

Queste cose vanno ricordate a tutti i deboli di memoria, da una parte e dall’altra, così come va ricordato il ruolo dei sindacati (il cui sviluppo unitario fu interrotto dal decreto di San Valentino del 1984), fra i quali ovviamente la FIOM, che anche oggi svolge tra grandissime difficoltà e contraddizioni un ruolo di avanguardia.

Del resto vanno ricordate sempre e per intero le responsabilità prioritarie dello svilupparsi di questa crisi: dall’assunzione a livello mondiale del modello iperliberista reaganian-tachteriano, alla crescita quasi impazzita del processo di finanziarizzazione dell’economia capace di sviluppare gigantesche bolle speculative all’interno delle quali si sono divorate fette enormi di economia reale, causando la crescita di formidabili diseguaglianze e dell’avvio di una fase d’impoverimento generale.

Abbiamo semplificato molto e ce ne dogliamo, ma ci appariva necessario dare un segnale a coloro che, comparsa qualche scritta con la stella a cinque punte sui muri di Torino, si permette già di scrivere di “cattivi maestri”. dimenticando i sacrifici e l’abnegazione di intere generazioni che hanno fatto la storia del nostro Paese.

In Italia, i tratti generali della crisi hanno assunto aspetti ancora più drammatici, a causa dell’inesistenza di una politica industriale, dell’insufficienza nel contributo a modificare un quadro europeo fondato sul monetarismo, della crescita esponenziale di un debito pubblico fondato sul clientelismo che ha avuto le sue punte più avanzate nel periodo del pentapartito (1983-1992) e del populismo di destra (2001-2006; 2008-2011), della presenza di una classe politica e di una “classe dirigente” che ha provveduto a se stessa in termini di privilegi odiosi e al di fuori da qualsivoglia concezioni di un rapporto democratico con l’elettorato dimostrando quasi esclusivamente una vocazione affaristica, dell’avanzare di contraddizioni di tipo razzistico e separatista del tutto anti-storiche e molto pericolose.

Ci fermiamo qui con l’elenco, che tutti giudicheranno lacunoso e al quale aggiungeranno cento, o forse mille, altre cause giudicate sacrosante.

In questo quadro, drammatico, si è totalmente sfrangiata la società, percorsa da mille rivoli di individualismo consumistico e le forze politiche sono state avviluppate, chi più e chi meno, dalla spirale della personalizzazione esasperata, dal mito del talk- show televisivo, dall’idea della “governabilità” quale concetto esclusivo dell’agire politico, cedendo quasi completamente sul terreno delle idealità, dei valori e dei programmi, al punto che l’opposizione non è stata in grado di produrre un minimo di capacità alternativa al peggior governo della storia dell’Italia repubblicana, finendo così commissariata da un governo formato da esponenti non eletti dai cittadini (è arduo definire questo governo “tecnico”).

Siamo così al 30% della disoccupazione giovanile, allo spettro di licenziamenti di massa, al tentativo di far sparire il contratto collettivo di lavoro, di affidare ai privati beni e servizi comuni indispensabili.

Nell’assoluta condanna di qualsivoglia atto di violenza, occorre ribadire con grande forza che le lotte sindacali sono indispensabili e che in questo momento rappresentano il vero “sale” della nostra democrazia.

Lotte alle quali, in questa fase, non è offerta, come invece sarebbe indispensabile, un’adeguata sponda politica: tocca alla sinistra, quella che c’è, sparsa e martoriata in diverse sedi, priva di rappresentanza parlamentare per precipua responsabilità dell’insipienza e della vanità di alcuni suoi presunti dirigenti, tentare di offrire questa sponda, proporre un progetto politico, muovendosi unitariamente, ricostruendo una soggettività politica, capace all’interno di questa crisi dai tratti drammatici, di definire i termini plausibili e accettabili di un nuovo compromesso sociale, all’interno di quello forte e chiaro dettato dalla Costituzione Repubblicana.

* Franco Astengo – Savona, politologo