Scenario Politico Globale e Nodo Europeo

di Franco Astengo – La presentazione al Parlamento Europeo da parte della Commissione presieduta dal portoghese Barroso di una direttiva sulla tassazione delle transazioni finanziarie (la cosiddetta “Tobin Tax”) sarà probabilmente indicata come la classica “montagna che partorisce il topolino” (ricordate in latino:” parturiunt montes nascitur ridiculus mus”) per la limitatezza dell’entità della tassa stessa e per la scarsa incidenza che, alla fine, si avrà sul complesso della crisi finanziaria in atto (d’altro canto, sotto quest’aspetto, pare proprio che sia impossibile afferrare Proteo e qualcuno ha scritto: Gordio non esiste).

Purtuttavia l’iniziativa della Commissione Europa deve far riflettere quanti pensano a un ruolo dell’Europa in questa fase come soggetto politico, capace di produrre iniziative, contrastare il drammatico stato di cose in atto, promuovere sviluppo.

Un’evocazione, insomma, di quella “Europa Politica” al riguardo della quale molti mostrano rimpianto e indicano come soluzione possibile verso la necessità di contrastare un processo di globalizzazione rivelatosi del tutto disgregatore.

Rilanciare l’idea della “Europa Politica” significa, però, cercare di delineare anche gli scenari possibili del sistema politico globale del prossimo futuro, alla luce delle lunghe guerre in Afghanistan e in Iraq e della crisi economico-finanziaria :

1)Il primo scenario è quello della governance liberal-democratica della globalizzazione, a egemonia americana, in cui il modello di democrazia liberale rappresentativa viene esteso oltre i confini nazionali fino al livello mondiale per fronteggiare le minacce alla coesione sociale e i rischi ecologici e politici della globalizzazione mediante (come scrive la Commission on Global Governance) l’articolazione di un ethos collaborativo basato su principi di consultazione, trasparenza e responsabilità del processo decisorio tra tutti gli attori coinvolti e/o influenzati dal “decisionmaking” globale cioè stati, imprese, movimenti collettivi. Problema cruciale per gli internazionalisti liberali è la legittimazione dei poteri dei decisori e il modo con il quale devono render conto delle conseguenze delle loro azioni. Attori chiave continuano a essere gli stati nazionali, ma dovrebbe crescere il ruolo dei regimi internazionali e delle organizzazioni politiche internazionali, opportunamente riformate, non tanto il sistema ONU nel suo complesso che appare molto difficile da riformare, quanto il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la World Trade Organization e il Financial Stability Board. Condizione importante è la transizione alla democrazia rappresentativa di un numero crescente di stati, che a sua volta è ricondotta al consolidamento dell’economia globale di mercato e al processo di modernizzazione politica della Cina e di altri paesi con regimi autoritari;

2)Il secondo scenario è quello del direttorio delle grandi potenze, che dovrebbe consentire una governance diffusa dei problemi dell’agenda politica mondiale grazie al ruolo di intermediazione strategica degli Stati Uniti e della loro capacità di porsi al centro di reti di interdipendenza complessa, rassicurando le altre grandi potenze e convincendole che il potere di ciascuno può essere coordinato in una strategia cooperativa multilaterale di soluzione di problemi comuni. Anche in questo scenario il problema cruciale è la legittimazione del potere dei decisori e il modo in cui devono rendere conto della conseguenza delle loro azioni a chi è escluso dal processo di formazione delle decisioni;

3)Il terzo scenario è quello di uno spazio multicentrico e competitivo, con progressiva autonomizzazione dei diversi poli del sistema politico mondiale (le altre grandi potenze) e delle macroregioni in cui esercitano la loro egemonia. Ciò comporta il passaggio dallo spazio globale ai grandi spazi regionali definiti sia in termini di integrazione economica che di controllo politico. Il sistema globale, del resto, è già oggi un insieme di blocchi economici regionali, che sono tuttavia innervati da dense reti di interdipendenza globale. Un numero limitato di grandi potenze governerebbe i rispettivi spazi, garantendo l’integrazione regionale e controllando i conflitti;

4)L’ultimo scenario configura una situazione di anarchia internazionale che non prevede alcuna forma di “governance” globale, in cui il venir meno dell’egemonia americana non è compensata dal ruolo di leadership di nessuna delle altre grandi potenze e viene compromessa la stessa efficacia delle istituzioni internazionali, a cominciare dal sistema delle Nazioni Unite.

Ci sarebbe un quinto scenario, che prevede l’ascesa di una nuova potenza egemone, con la Cina come candidata più probabile, ma si tratta di uno scenario che potrebbe realizzarsi solo in un futuro non prossimo e che quindi non viene delineato in dettaglio.

Il rilancio di un’idea dell’Europa Politica può avvenire all’interno delle incertezze e delle opportunità che questi scenari futuribili comunque presentano: la crisi greca, e quelle che stanno seguendo, ha mostrato che nessuno Stato può ritenersi al riparo dal rischio sovrano in virtù della semplice appartenenza all’euro, che il contagio può svilupparsi molto rapidamente mettendo in crisi l’intero sistema monetario europeo, e soprattutto una politica monetaria unica non può durare a lungo senza una complementare politica fiscale e di bilancio.

L’Europa Politica dovrebbe muoversi davvero come macroregione, avanzando in un quadro di concerto eseguito dagli Stati Nazionali e da soggetti di una nuova sovranità europea (pensiamo al ruolo del Parlamento) avanzando proposte che riguardino sia la regolamentazione efficace dei mercati finanziari e della finanza globale (vedi, appunto, per tornare all’origine di questo intervento la “Tobin Tax”), sia l’attuazione di un’efficace politica sociale, contrastando le diseguaglianze tra paesi e all’interno di essi mediante il coordinamento delle politiche fiscali.

Tale coordinamento deve mirare a correggere la tendenza dell’economia globale a concentrare la tassazione sui redditi da lavoro a vantaggio dei redditi da capitale, che sono per loro natura assai più mobili e difficili da controllare e a evitare che i governi dei diversi stati competano tra loro con le rispettive politiche fiscali per attrarre investimenti esteri.

Sarebbe, infine, auspicabile cogliere l’occasione della crisi per correggere gli eccessi dell’attuale modello di sviluppo nella direzione del contenimento delle diseguaglianze di reddito e di ricchezza tra paesi e gruppi sociali, sia della ricerca delle compatibilità tra crescita economica e tutela dell’ambiente, sia del cambiamento del modello di “governance” delle imprese, aprendo anche una prospettiva più ampia in merito al rapporto tra pubblico e privato e del rilancio delle politiche di welfare.

Insomma, un’Europa che potrebbe presentarsi all’interno del terzo scenario, quello del governo delle macroregioni, con le carte in regola per rovesciare il tavolo del “neoliberismo” e proporre una nuova qualità di compromesso sociale.

Abbiamo schematizzato all’eccesso ma crediamo di aver comunque indicato una possibile prospettiva per l’Europa Politica, alla quale dovrebbero puntare i partiti di sinistra di derivazione da tutte le tradizioni della storia della sinistra europea, incontrando la realtà dei grandi movimenti sociali sviluppatisi nel corso degli ultimi decenni.

Occorre a livello nazionale, ma soprattutto a livello europeo una nuova soggettività politica della sinistra, non genericamente progressista (non a caso abbiamo indicato l’obiettivo di un “compromesso”, che per sua natura è sicuramente definibile come “socialdemocratico” sulla base del modello renano).

Servirebbe la forza e il coraggio di promuovere a quel livello un incontro tra tutti i soggetti interessati mettendo all’ordine del giorno il discorso di un’autonomia culturale della sinistra, del riconoscimento del carattere ideologico e di classe della conduzione della crisi, di una proposta di fusione di valori, di analisi della realtà, di capacità critica, di progetto di trasformazione che restituisca un senso profondo alla politica della sinistra, italiana ed europea.

Un recupero di pensiero “forte”, in luogo della debolezza dei molteplici “pensierini” attuali.