Province e piccoli Comuni: grande confusione sotto il cielo

di Franco Astengo – La confusione è grande ma la situazione non è eccellente, così, modificando Mao, si potrebbe definire la situazione, nel momento in cui scriviamo,al riguardo della manovra finanziaria.

In particolare il motto si potrebbe applicare alla grottesca vicenda riguardante gli “accorpamenti” tra le Province inferiori a 300.000 abitanti (con eccezioni..) e i comuni al di sotto dei 1.000 abitanti.

Una decisione/non decisione (tutto è ancora in alto mare, per la verità, ma vale la pena di discuterne anche sotto l’aspetto delle “intenzioni primarie”) che, davvero, dimostra il dato dell’improvvisazione che ha sopravanzato qualsiasi altra istanza, di ragionamento e di analisi, nella compilazione dei provvedimenti che dovrebbero comporre – appunto – la manovra.

Un ragionamento di carattere generale ci dice, prima di tutto, che nel momento in cui si pensa di affrontare i cosiddetti “costi della politica” ci si occupa invece della struttura delle istituzioni: tutta un’altra partita, insomma.

In secondo luogo esiste una questione di numeri concreti, reali, al riguardo del risparmio effettivo: non basta tagliare 54.000 presunte poltrone, quando poi queste costano infinitesimamente meno delle 915 poltrone di Montecitorio e Palazzo Madama… davvero una goccia del mare: una affermazione che credo si possa svolgere, senza alcuna venatura qualunquistica, anzi senza tema di smentite.

Inoltre non ci si occupa soltanto delle istituzioni in luogo dei “costi della politica” ma si tenta anche di “tagliare” pezzi di democrazia rappresentativa, restringendo sempre più il novero degli “eletti” ad una vera e propria oligarchia e dimenticando proprio il tema della rappresentatività della politica, che invece la Costituzione Repubblicana delinea con grande nettezza.

Analizzati questi punti di carattere generale, andiamo allora a verificare la situazione che, ipoteticamente, potrebbe realizzarsi dalle nostre parti.

La Liguria è sicuramente una delle regioni che risulterebbero maggiormente penalizzate dal realizzarsi di una situazione di questo tipo: prima di tutto per il ridursi ad una sola le province, nel caso Genova.

Una situazione paradossale perché su Genova graviterebbe anche la “città metropolitana” (non ancora realizzata ma prevista dalla modifica del titolo V della costituzione all’articolo 114) e la provincia coinciderebbe, per di più, con la Regione.

Insomma si tornerebbe alla Repubblica di Genova (anzi di più, perché fino all’annessione al Piemonte, Finale ed Oneglia rappresentavano due “enclave”), tanto per fare un paragone storico, molto di moda di questi tempi in cui, per ovviare, a questo stato di cose, proprio ricorrendo alla storia, si sono cercate soluzioni fantasiose (l’unione con la Costa Azzurra, il ripristino dei dipartimenti di memoria napoleonica, a quant’altro: in ogni caso il fenomeno si è ripetuto in tutta l’Italia, anche perché non mancherebbero altre situazioni – rompicapo: il Molise ad esempio rimarrebbe completamente senza province).

Non si tratta di questioni secondarie: l’ente intermedio ha delegate funzioni di rilievo, in campo ambientale e urbanistico, ha strutture in dotazione, personale. Come si può prevedere operazioni di questo genere, senza un piano complessivo, l’idea dell’ente intermedio, del coordinamento degli Enti Locali sul territorio. Certo che ci sono sprechi, doppioni, sovrapposizioni ed altro, ma non è sicuramente questo il metodo.

Egualmente va affrontato il discorso sui piccoli comuni, in gran parte comuni dell’entroterra, almeno nelle province di Savona e di Imperia: qui entrano in gioco altri fattori, anche di identità storica che non possono essere sottovalutati o irrisi, ma di tutela del territorio, di presidio, ancora di presenza democratica, di vera e propria riconoscibilità delle istituzioni.

Pensiamo alla storia di alcuni comuni dell’entroterra ingauno: da Castelvecchio di Rocca Barbena a Zuccarello veri e propri pilastri di una storia millenaria.

Inoltre, proprio poco tempo fa, sono state abolite le Comunità Montane che avrebbero potuto costituire un punto di riferimento importante per costruire Unioni di Servizi, Coordinamenti, vere e proprie unioni di Comuni, senza richiederne coatte fusioni e/o cancellazioni.

Insomma, un provvedimento improvvisato, poco realizzabile, doloroso per le Comunità: il tema dei costi, che alla luce dei fatti non appare proprio essere quello principale, deve essere affrontato in altro modo e la sacrosanta protesta sarebbe giusto avesse un esito positivo.