12 novembre 2010: Porte chiuse, luci accese sulla cultura

fp – Il crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei, se mai qualcuno ne avesse ancora dei dubbi, non è che l’ultimo dei drammatici segnali di come sia grave e reale la minaccia al patrimonio culturale italiano, sacrificato a distorte e ottuse logiche di bilancio. E non fa che dare maggior forza all’iniziativa lanciata da Federculture qualche settimana prima che le cronache dovessero registrare nelle ultime ore l’ennesimo scempio toccato a quelli che sono – e dovrebbero rimanere per le future generazioni – i beni comuni: perché davvero, ormai da troppi anni in caduta libera senza soluzione di continuità,  una “politica superficiale e miope sta colpendo nel profondo il diritto dei cittadini alla cultura, l’accesso alla conoscenza e alla fruizione del nostro immenso patrimonio collettivo, che è alimento essenziale per il benessere e la crescita”. Che fare? Rimanere in attesa del colpo di grazia o provare a invertire bruscamente la rotta?

Da qui, la chiamata a una mobilitazione senza precedenti, una forma di protesta clamorosa mai tentata prima: il 12 novembre musei, biblioteche, siti archeologici, luoghi di spettacolo in tutta Italia chiuderanno i battenti e fermeranno le loro attività per richiamare l’attenzione sugli effetti dirompenti che la manovra finanziaria avrà sul settore, già a partire dal prossimo anno, e per riaffermare il diritto alla cultura.

Intorno all’iniziativa “12 novembre 2010: Porte chiuse, luci accese sulla cultura” promossa da Federculture (la Federazione delle aziende dei servizi pubblici locali per la cultura) e da ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), con il sostegno del FAI (Fondo Ambiente Italiano; in Liguria rimarranno chiusi, tra gli altri, l’Abazia di San Fruttuoso e Casa Carbone a Lavagna), si sta raccogliendo un’ampia adesione da parte di Amministrazioni locali di diverso orientamento politico, Aziende e Associazioni di settore, tutte ugualmente colpite dalla scure dell’ultima manovra varata dal governo (dl 78/2010 convertito in legge 122/2010).

Questa volta non si tratta solo di tagli, pur molto consistenti – circa 280 milioni tra tagli diretti al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, decurtamento del Fus e dei trasferimenti statali agli enti culturali, cui si aggiungono le riduzioni a carico delle amministrazioni locali che, secondo prime stime, potrebbero pesare sul settore per circa 800 milioni di euro nel prossimo biennio -, ma di un combinato di articoli contenuti nella legge, la cui applicazione disegnerà un quadro generale nel quale l’intervento pubblico dovrà fare totalmente marcia indietro, rinunciando di fatto alla possibilità di attuare politiche culturali, sia a livello nazionale che regionale e locale.

A Roma, Venezia, Milano, Torino, Bari passando per Grosseto, Matera e Foggia, solo per citarne alcune, amministrazioni pubbliche, associazioni e aziende si mobiliteranno, dunque, per sensibilizzare l’opinione pubblica, il mondo politico e il Governo innanzitutto rispetto alla necessità di modificare quegli articoli della manovra che altrimenti assesteranno un durissimo colpo alla cultura italiana, ma anche per riaffermare il valore del settore e l’esigenza di valorizzarlo adeguatamente. La mobilitazione si articolerà in forme diverse e per gli Enti che non potranno procedere alla chiusura delle loro strutture sarà comunque possibile aderire all’iniziativa adottando modalità alternative di partecipazione e comunicazione della protesta.

Avranno in particolare conseguenze disastrose sul sistema culturale italiano – questo l’allarme lanciato dai promotori della mobilitazione – le norme che dispongono un tetto di spesa per l’organizzazione delle mostre pari al 20% di quanto speso dall’amministrazione nel 2009, tagliando di fatto dell’80% le risorse (Art. 6, commi 7, 8, 9, 12 e 13), quelle che obbligano i comuni sotto i 30.000 abitanti allo scioglimento delle società dagli stessi costituite (Art. 14, comma 32) ed infine quelle che fissano limiti alla composizione dei consigli di amministrazione, ostacolando la partecipazione dei privati alla gestione delle aziende culturali (Art. 6 commi 5 e 6).

La legge 122/2010 – come già da mesi ha evidenziato Federculture che si è attivata per studiare gli interventi normativi e le possibili modifiche – renderà impossibile per amministrazioni pubbliche, aziende e fondazioni e tutti gli organismi, che gestiscono i servizi e le attività culturali nel Paese, continuare a svolgere il loro compito istituzionale di promozione e diffusione della cultura. Una vera mannaia che si abbatterà indiscriminatamente su musei, teatri, biblioteche, colpendo anche quelle realtà virtuose che sono state l’elemento di maggiore innovazione e modernizzazione degli ultimi anni nei servizi resi ai cittadini e al territorio e riconosciute anche a livello internazionale.

Alcune norme, inoltre, potrebbero ledere le prerogative di autonomia degli enti territoriali e delle società private che gestiscono i servizi pubblici culturali, così come garantite dalla Costituzione. Per questo alcune Regioni hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente ad alcuni articoli della manovra, così come Federculture aveva già evidenziato nei mesi scorsi.

L’obiettivo della protesta è denunciare il pressoché totale disimpegno statale nel garantire la sopravvivenza del settore, già da anni falcidiato dal progressivo rarefarsi delle risorse e degli investimenti. Nel prossimo anno il budget del Mibac crollerà a 1,5 miliardi di euro, ormai circa lo 0,21% del bilancio statale, come dire che lo Stato spende 21 centesimi in cultura ogni 100 euro e, parametrato alla popolazione italiana equivale ad una spesa procapite di 25 euro. Cifre irrisorie per l’ampiezza e la complessità del nostro patrimonio e le esigenze di conservazione, valorizzazione e promozione cui bisognerebbe assolvere, che ci fanno sfigurare anche nel confronto internazionale: la Francia, ad esempio, ha una spesa statale procapite per la cultura di 46 euro, quasi il doppio della nostra.

Con investimenti di tale esiguità è impensabile non solo la sopravvivenza ma lo sviluppo del settore culturale che pure ha enormi potenzialità, tanto che potrebbe essere uno dei comparti sul quale puntare per uscire dalla crisi e restituire competitività al sistema economico nazionale. Il potenziale anche economico della cultura è d’altronde ampiamente dimostrato dai dati che ci dicono, ad esempio, che in Italia ci sono oltre 900mila imprese operanti in attività legate al settore culturale e creativo e che, ancora nel 2009 in piena crisi, la spesa delle famiglie italiane per la cultura ha rappresentato il 7% della loro spesa complessiva. Si andrà, invece, come chiaramente segnalano gli organizzatori della mobilitazione, verso un’ulteriore perdita di offerta, servizi e occupazione. Se non si interviene per tempo nel Paese non ci sarà una politica culturale da parte dello Stato, né delle amministrazioni locali, né tantomeno dei privati.

Una politica superficiale e miope sta colpendo nel profondo il diritto dei cittadini alla cultura, l’accesso alla conoscenza e alla fruizione del nostro immenso patrimonio collettivo, che è alimento essenziale per il benessere e la crescita.

Per questo il 12 novembre si chiuderanno le porte, ma per accendere i riflettori sulla cultura italiana e sul suo futuro a rischio.