Carol Rama – “Appassionata”: ad Alassio

Presso l’ex Chiesa Anglicana, ad Alassio (dietro stazione ferroviaria), prosegue la mostra Carol Rama – “Appassionata” a cura di Nicola Davide Angerame;  l’esposizione, a ingresso libero, rimarra visitabile sino a 12 settembre (Orari di apertura: da giovedì a domenica ore 17,30/19,30 e 21/23).

LA MOSTRA

Le idee che ho le invento soffrendole io stesso, passo passo, io scrivo soltanto ciò che ho sofferto punto per punto in tutto il mio corpo, quello che ho scritto l’ho sempre trovato attraverso tormenti dell’anima e del corpo. Antonin Artaud

La mostra alassina presenta l’opera di Carol Rama attraverso una selezione di opere, che vanno dal ritratto di Betty, del 1938, eseguito in uno stile che segue le dinamiche della scuola di Felice Casorati (frequentato dalla giovane Carol Rama) fino ad un recente Ritratto del 2003 (anno del Leone d’Oro alla Carriera della Biennale di Venezia) in cui l’artista si ritrae con la su celebre corona di capelli intrecciati, pezzi di camere d’aria e su di un su uno dei suoi amati fogli stampati con disegni tecnici industriali utilizzati per la fabbricazione (in questo caso) di una cartucciera per pallottole d’arma da fuoco.

Una scelta probabilmente non casuale, quella di un’artista esplosiva, scandalosa e a suo modo radicale come Carol Rama. La sua figura d’artista supercontemporanea esplode con i riconoscimenti offerti dalle mosre personali curate per lei da Achille Bonito Oliva nel 1993, nella sezione Aperto della Biennale di Venezia, o da Rudi Fuchs allo Stedelijk Museum di Amsterdam, poi presso The Institute of Contemporary Art (ICA) di Boston (USA), o ancora da Marco Vallora al Palazzo Ducale di Genova nel 2008. Le opere in mostra espongono le trasformazioni, anche radicali, che l’arte di Rama subisce nei decenni, come quelle svolte ricche di ulteriori magie che sono i suoi “Bricolage” su cui la pittura intrappola la materia, anche questa di provenienza “domestica”, legata alla conduzione materna di un laboratorio di pellicceria e che fornirà a Carol occhi, unghie, pelli da porre in composizioni surreali, tempestose, angoscianti e divertenti al tempo stesso.

Anche le “gomme” degli anni settanta, di cui alcune celebri qui in mostra (come “Spazio anche più che tempo” del 1971, o ancora “Arsenale” e l’auratico “I presagi di Birman”), nascono negli anni Settanta come assorbimento nell’opera di un materiale “paterno”: le camere d’aria che il padre industriale meccanico torinese lavora nella sua fabbrica di biciclette (prima del fallimento e del suicidio avvenuto nel lontano 1942), assumono per Rama la consistenza e il significato della pelle che torna sulla tela in forma di tubi flessi, morbidi, sensuali e mascolini, ma anche in più distese campiture di gomme tese sulla tela a creare campi di forza, con una eleganza che contraddice la povertà del materiale (“Mio padre aveva creato un brevetto per una bicicletta da uomo che si poteva trasformare in una da donna. Così in casa in quel periodo avevamo molte camere d’aria e io le guardavo come se fossero pezzi di pelle, di carne…” Carol Rama, Rai Sat 2003).

Gli anni Ottanta presentano un ritorno alla pittura e alla figura che porta a Rama un riconoscimento internazionale grazie al quella fantasia sbrigliata e irriverente e ad un disegno capace di porsi come un diario intimo che unisce gli estremi indicibili dell’esistenza, la follia e l’eros, la sofferenza del corpo e la catarsi attraverso l’arte.

La mostra si chiude su documento video prodotto da Rai Sat nel 2003 che vede Carol Rama parlare di sé e della propria arte e il coro dei critici ed amici dell’intellighentia torinese che l’hanno sostenuta e qui ne commentano il lavoro e la personalità.

Una interessante serie di grafiche recenti espone infine i temi salienti della giovane Carol Rama disegnatrice che riprende i suoi cavalli di battaglia giovanili: dalle donne mutilate in letto d’ospedale (le “Appasionate”) ai “Pissoir” duchampiani, dagli scopini per il water ai “Teatrini” fatti di protesi ortopediche e alle dentiere. Un amarcord incisorio che mostra il lato più “debole” di Carol, quella sua impressionabilità che già adolescente le frutta una serie di visioni impensabili per la borghesia, la società bene, alla quale pure appartiene e che però diventano il sismografo, se letto in controluce, di una realtà sociale che tra le due guerre ha nutrito speranze e orrori.

La mostra presenta anche una fotografica di Pino dell’Acquila dal titolo “La casa-studio”, che immortalano Carol Rama dentro il suo habitat naturale, in quella soffitta colma di ricordi, che sta tra la wunderkammer e il ricovero bohemien. Da qui, nel pieno centro storico di una Torino che forse non c’è più, Rama vive, osserva, disegna, ricorda e si lascia impressionare ancora dalla vita e dai palpiti del corpo, non importa se maschile o femminile, se umano o animale, ai quali ha dedicato, tra erotismo ed agonia, buona parte del suo sforzo creativo. Uno sforzo che è stato più come una pulsione e come una catarsi, tanto da fare spesso asserire all’artista: “io dipingo per guarirmi”.

“Per Rama – sostiene Achille Bonito Oliva – l’arte è lo spazio della festa dove non esistono gerarchie tra ciò che si può dire e ciò di cui bisogna tacere”. “Carol ha il gusto dell’oggetto, avendo al capacità di recuperarlo di citarlo di ribaltarlo nel suo senso”. Carol, sostiene ABO, a differenza dell’Arte Povera non ha mai avuto intenzione di usare la materia in senso ideologico e programmamtico, da cui la distinzione di un’artista per alcuni versi vicina, anche geograficamente (la sua città è Torino) e lontana (ideologicamente) dal celebre gruppo guidato da Germano Celant.

Questa leggerezza ideologica di Rama probabilmente spiega in buona parte quel suo essere stata una outsider che, se pur apprezzata dalla cerchia di letterati, artisti e critici torinesi, è rimasta fuori dal “circo” dell’arte per molto tempo, prima di essere riscoperta quando proprio il personale, la biografia dell’artista tornano ad interessare il pubblico, profilandosi come una ricerca su sé, ma anche una ultima frontiera di studio, dopo le grandi divagazioni e invaghimenti per gli ultimi “grandi racconti”, per dirla con Lyotard, all’inizio dell’era post-moderna.

“Peccare è una delle cose più belle!” dice Carol nel documentario di Rai Sat. E se questa può essere definita come il principio della sua pars construens d’artista, la controparte la pars destruens è certamente data dall’affermazione che segue nel video: “Ognuno di noi è a pezzi, … dipende dall’infanzia, dalla famiglia”. Una verità semplice, cristallina, che malgrado gli sforzi della psicologia moderna resta un principio di base per la vicenda personale di ciascuno di noi. In questa semplicità, quasi commovente, si muove a alimenta l’opera di Carol, artista tesa tra il desiderio e il dolore, tra l’erotismo e il lutto, tra l’affetto e la follia. In una parola: Appassionata.

L’ARTISTA – Carol Rama (Torino 1918) è un’artista autobiografica. Ogni personaggio, ogni oggetto che compare sulla scena dell’opera trova il suo riscontro nella storia e nella memoria di Carol. Corpi femminili troncati, dentiere, letti, sedia a rotelle, animali, scarpe e simili sono i soggetti dei primi acquerelli, che negli anni della loro nascita – 1936-46 – furono talmente anacronistici da risultare inaccettabili (la sua prima personale nel 1945 fu bloccata, le opere sequestrate). Questi lavori riflettono le angosce e le fantasie di una giovane donna, di colpo confrontata con gli aspetti più traumatici della vita, dopo un’infanzia piuttosto protetta nella casa paterna.

Negli anni ’50 Carol sente il bisogno di uscire dai confini dell’autobiografia e entra a far parte del gruppo del MAC (Movimento Arte Concreta) torinese, elaborando un suo personale concetto di astrazione. A partire dagli anni ’60 la sua ricerca torna a scovare nel suo repertorio intimo, unendo la realtà di oggetti usati al suo intrinseco estro pittorico. Nascono dei dipinti, definiti “bricolages” dall’amico Edoardo Sanguineti, che accompagna Carol e la sua opera a partire dagli anni ’60 con poesie e presentazioni autentiche e bizzarre. Gli amici hanno un grande ruolo nella vita di Carol, a cominciare dalle persone conosciute nella sua città, Torino, come Felice Casorati, Albino Galvano, Italo Calvino, Massimo Mila, Carlo Mollino e molti altri. Durante i soggiorni negli anni ’70 con il suo gallerista Anselmino a Parigi e a New York conosce Andy Warhol, Orson Welles e soprattutto Man Ray, con il quale continua a frequentarsi fino alla morte di lui.

Il lavoro degli anni ’70 è insieme intimo e di ampio respiro: su formati spesso considerevoli, Carol Rama stende delle camere d’aria di bicicletta che le ricordano la fabbrica di biciclette del padre imprenditore. Le camere d’aria, spesso usurate riparate rattoppate, creano una superficie viva, pittorica, con un effetto visivo e tattile simile alla pelle umana.

Nel 1980, l’artista ha un incontro fondamentale con Lea Vergine, la quale la include nella sua mostra itinerante sulle grandi artiste del Novecento, chiamata “L’altra metà dell’avanguardia”, con numerosi lavori degli anni ’30 e ’40. Curata da Lea Vergine le viene allestito nel 1983 la prima mostra antologica nel Sagrato del Duomo di Milano. Ora viene apprezzato il lavoro dei primi anni, e questo è forse una delle ragioni per cui Carol torna all’inizio degli anni ’80 alla figurazione con delle opere piene di fantasia, di bizzarrie, di racconti accennati e allusioni mitiche e leggendarie. Carol Rama non ha più abbandonato il figurativo, ma col tempo le figure e i personaggi, legati sempre alla sua storia personale, si sono fatti più essenziali, quasi fossero emblemi.

Nel 1998 Carol Rama viene presentata a livello internazionale con un’importante mostra antologica, allestita dapprima allo Stedelijk Museum di Amsterdam, poi presso The Institute of Contemporary Art (ICA) di Boston (USA). Carol Rama è ormai conosciuta all’interno della cerchia dei conoscitori dell’arte contemporanea, ma il grande riconoscimento pubblico le arriva soltanto nel 2003, quando le viene conferito il Leone d’oro alla carriera in occasione della 50° Biennale di Venezia. Nel 2004 le viene allestita un’ampia antologica presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, in seguito esposta al Mart di Rovereto e al Baltic Museum di Gateshead (GB, 2005). Il Museo cittadino di Ulm (D) e la Galerie im Taxispalais a Innsbruck (Au) organizzano anch’essi nel 2004-2005 una grande mostra retrospettiva. Durante l’estate del 2006 si svolge l’esposizione Trama doppia ad Alghero in Sardegna, con una personale di Carol Rama allestita dallo stilista Antonio Marras. Nell’autunno del 2006 esce il Catalogo ragionato dell’opera incisa di Carol Rama, presentato in occasione di una mostra antologica di incisioni al Museo di Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia. La mostra “La passione secondo ABO”, curata da Achille Bonito Oliva in occasione del Ravello Festival 2007, è incentrata sull’opera figurativa di Carol Rama. Sempre nel 2007, Gillo Dorfles presenta una rassegna di opere su carta al Museo Materiali Minimi d’Arte Contemporanea di Paestum. Nell’estate del 2008 Marco Vallora cura una grande mostra antologica di Carol Rama al Palazzo Ducale di Genova, in occasione del novantesimo anniversario della nascita. Nel gennaio del 2010 riceve il Premio Presidente della Repubblica su segnalazione dell’Accademia di San Luca di Roma