Nicola Nocella a Overlook: “Attori si diventa con preparazione ed umiltà” (intervista)

di Alessandro Sbarile – Nicola Nocella, attore classe 1981, ha presentato per il terzo anno consecutivo il festival cinematografico finalese Overlook (cui ha partecipato un’altra volta come giurato). Nocella ha avuto l’occasione di affermarsi nell’ultima stagione del cinema italiano, avendo partecipato come protagonista all’ultimo film di Pupi Avati “Il figlio più piccolo” (assieme, fra gli altri, a Christian De Sica, Laura Morante e Luca Zingaretti), interpretando Baldo, un ragazzo ingenuo cui il padre, un uomo senza scrupoli sparito diversi anni prima per seguire i propri affari, pensa di lasciare le proprie attività per salvarsi dai guai con la giustizia.

D: Nel backstage della scorsa edizione di Overlook alla domanda “Cosa bisogna fare per diventare attore?” ha risposto “Niente”, può essere più preciso?

R.: (Ride, ndr) Era detto in modo provocatorio, nel senso che occorre fare tantissimo, non è mai troppo ma comunque serve tantissimo: quello di attore è comunque un mestiere, pur essendo un’arte, divertente e bella, ma è in ogni caso un lavoro, quindi bisogna essere preparati.

Per fare l’attore si deve studiare, occorre essere molto preparati, scegliere le scuole giuste, poi la gavetta ed il passare del tempo ti portano ad essere quello che sei nel lavoro; non sono fra coloro che dicono “attore si nasce”, penso di avere una predisposizione, mi piace fare questo ma mi rendo conto che bisogna anche studiare e soprattutto conoscere i propri limiti per superarli.

Diventare attore cosa vuol dire mille cose, per divenirlo bisogna studiare: ho studiato tanto, ho dedicato a questo una parte importante della mia formazione e sono arrivato qui; faccio questo mestiere ma ogni giorno ho tanto da imparare, credo di essere solo all’inizio del mio percorso formativo (parola che preferisco al termine “carriera”, che non uso mai).

“Niente” era davvero una provocazione, riferita a quello che ogni tanto succede o ti dicono: si pensa che basti un gancio o un reality, ma per diventare attore bisogna studiare; se non dai dignità al tuo lavoro, come pensi possano farlo gli altri? Significa arrivare preparatati, saper gestire la situazione ed è cosa che si impara a scuola e sul set, ci vuole tanta umiltà.

D.: È la quarta volta che partecipi ad “Overlook”, quanto è importante un evento come questo per il territorio che lo ospita?

R.: Ha un’importanza enorme, conoscendo Eros, Davide e Nicolò (Achiardi, Nari e Beardo, rispettivamente Direttore Artistico, Presidente e Responsabile Internazionale della rassegna, ndr) so che fatica fanno per portare a casa questo straordinario lavoro, è importante essere presenti sul territorio, è quasi un’opera di alfabetizzazione, nel senso che il corto, non ha distribuzione televisiva o cinematografica ma solo festivaliera; Overlook fa questo, lo propone alla popolazione.

Mi piacerebbe ci fosse più partecipazione pubblico e istituzioni: il fatto che ragazzi così giovani siano riusciti a portare a casa un evento del genere per la quinta volta (con concrete possibilità di ripetersi una sesta, cosa faticosissima), vuol dire avere capacità, forza di sbatterci la testa per dei mesi per ottenere questo risultato.

I finalesi non hanno ancora capito fino in fondo quanto tutto ciò è importante, spero lo capiscano presto; mi piacerebbe che anche le istituzioni appoggiassero di più questo evento, se lo meritano i ragazzi e la città di Finale, perché ormai Overlook è un festival di importanza internazionale: se in tutta Italia se ne parla è giusto che anche a livello locale si capisca l’importanza e lo si sostenga anzitutto con l’entusiasmo, non solo economicamente o limitandosi alla serata finale.

D.: Come Baldo, il protagonista del film “Il figlio più piccolo”, lei è un ragazzo cui è stata data una grande opportunità, cosa vi accomuna e cosa vi divide?

R.: Ci uniscono tante cose: credo che quando Pupi mi ha scelto abbia visto in me Baldo e nei miei occhi i suoi; questa cosa ti spaventa e ti agevola; portare molte parti di me era faticoso perché ci può essere un po’ di paura nel tirare fuori una parta intima di sè e per fare questo serve avere un rapporto di fiducia con la troupe (un gruppo di un ottantina di persone che lavora sempre con il regista e con cui c’è affiatamento), la cui forza è stata quella di mettermi a mio agio e darmi fiducia, ci ho messo molto di me.

Ci divide il fatto che a me l’occasionane è stata data sul serio, a lui è stata data una “sola”: spero di essermela giocata sul serio; a Pupi dico sempre quello che Baldo dice nel film al padre nel moneto in cui viene nominato presidente: “sapevo che la mia vita sarebbe cambiata”. Lo ringrazio perché mi ha dato occasione, mentre quella data a Baldo è finta; il rapporto con Pupi, con suo fratello Antonio (produttore del film, ndr) e con la troupe è stato autentico, sono stato molto fortunato.

In generale ci divide più di quello che si immagina, ma ci ho messo molto di me, anche senon sono sempre come lui.

D.: Cosa ha rappresentato il film per lei?

R.: Una grande occasione umana, una grandissima occasione professionale e mi ha dato una possibilità, quella cosa che prima o poi capita a tutti, la forza di capire che bisogna provarci e credere nei propri sogni, di insistere perché arriva il momento in cui ti danno un’opportunità.

I ragazzi non devono smettere di sognare, non nel senso di abbandonarsi a un sogno ma di costruirlo, perché richiede sacrifici e rinunce, ma in questo non c’è niente di male.

Inoltre mi ha offerto la possibilità conoscere gli attori ed il regista, persone grandi ed indefinibili; è stata una delle cinque cose più belle della mia vita. Il successo lo ha fatto il film, quello personale è molto relativo, spero di non deludere chi ha creduto in me, di dimostrare che ne valeva la pena.

D.: Progetti per il futuro?

R.: Mi sto preparando, ho avuto delle grandi opportunità, come il film di Aureliano Amadei “Venti sigarette a Nassiriya” che sta uscendo in questo periodo, e come quella che mi ha offerto Stefano Chiantini, con cui sto per girare.

I progetti ci sono, mi interessa riuscire a continuare a divertirmi: in inglese recitare si dice “to play”, in francese “jouer” cioè giocare; voglio continuare a divertirmi, non perdere il gusto del gioco, chie avvertivo sia con Chiantini, sia con Avati sia con Amadei; non voglio perdere il gusto del divertimento.

È difficile parlare di progetti in un lavoro come il nostro, dove tante cose sono aleatorie, vivo giorno per giorno felice di quanto successo finora.

D.: Cos’è per lei il cinema in una parola

R.: Tutto.