Non si esce vivi dagli anni ’80

di Alfredo Sgarlato – Non si esce vivi dagli anni ’80 cantavano gli Afterhours, che in quel decennio debuttarono come gruppo garage/neopsichedelico. Ne è uscita viva e in ottima forma Sabrina Salerno che conduce Mitici ’80, ennesimo programma dedicato alla nostalgia, che poi è tutto sommato un remake del mitico “Lucignolo” invenzione del geniale Mario Giordano (uno cui è facile pronosticare un destino simile a quello di Ugo Tognazzi nel primo episodio de I Mostri ), in cui nel condannare uno stile di vita coca ed escort si finiva per esaltarlo.

Ma erano poi così mitici gli anni ’80? Su un piano socio-culturale si può dire che gli anni ’80 comincino in realtà due o tre anni prima, quando appaiono film come La febbre del sabato sera o Rocky che mostrano un riscatto sociale individuale e non più collettivo e non rivoluzionario ma inserito nei canoni dominanti, mentre in campo musicale al rock progressive e psichedelico, romantici e utopisti, si sostituivano il punk e la new wave, violenti e nichilisti (generi, va detto, all’epoca snobbati dal grande pubblico e riscoperti in seguito). Alla eccessiva immersione ideologica degli anni ’70 si sostituivano il disimpegno, la riscoperta del ballo, il culto del corpo (che sarà sempre più dominante negli anni a seguire), sebbene in Italia la designazione del primo capo del governo non democristiano, Spadolini, faceva ben sperare, unita alla vittoria ai Mondiali di calcio e ai successi della moda.

C’era voglia di divertirsi, di uscire di casa (finiva l’incubo del terrorismo) e si importava da Londra la moda del “nightclubbing” ovvero girare tutta la notte per locali, magari in quella “Milano da bere” che poi era solo uno slogan pubblicitario. Ma la vera mutazione antropologica fu portata dall’esplosione delle tv private, che fecero Berlusconi grande e Ricci il suo profeta. L’invasione di spogliarelli di casalinghe, comici improvvisati, pubblicità che scimmiottavano (spesso in modo patetico) uno stile all’americana, di telenovelas e cartoni animati giapponesi, cambiò il mondo come Garibaldi o il ’68 non seppero fare. Ma gli anni ’80 erano davvero stupidi? Come ogni decade lo erano per chi era stupido. Chi non era stupido e non si intruppava tra paninari e new romantics faceva quello che la maggioranza dei giovani avrebbe fatto nel decennio successivo, frequentare i centri sociali, leggere la fantascienza ciberpunk e i sudamericani, scoprire Almodovar e il cinema indipendente americano, oppure riscopriva il meglio dei decenni precedenti, il surrealismo, la nouvelle vague, il cinema tedesco, il jazz, il soul.

Per alcuni l’ultimo decennio con una personalità, per altri l’inizio della decadenza, gli anni ’80 sono stati un periodo di transizione. La musica iniziava a riproporre sintesi di stili del passato anzichè novità (il pop di classe di Smiths e Style Council, il grunge). Il cinema, soprattutto in Italia vedeva la dipartita o la crisi creativa dei grandi registi e i debutti di quegli autori che sfonderanno nel decennio successivo. Oggi, mentre le riviste più di tendenza cominciano a riscoprire musicisti usciti nel 1990 spaccato, in tv e nelle discoteche impazza il revival ’80. Io mi tengo pronto, ho ancora una giacca con le spalle larghe nell’armadio…

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato