Opera Giocosa di Savona: nel segno di Mascagni e Leopardi l’esordio della stagione estiva

di Fabrizio Pinna – Presentazione domani, mercoledì 9 giugno, a Genova nella sede della Regione Liguria di piazza De Ferrari (ore 11,30) della stagione lirica estiva 2010 del Teatro dell’Opera Giocosa di Savona. Prime date previste a fine mese quando, nello storico e suggestivo contesto del complesso monumentale della Fortezza del Priamàr di Savona, il Teatro dell’Opera Giocosa porterà in scena il capolavoro di Pietro Mascagni Cavalleria rusticana, nelle serate del 25 (in anteprima), 27 e 29 giugno alle ore 21.15.

Nella stessa serata in cui si potrà assistere a un nuovo allestimento della Cavalleria, a formare un programma artistico inedito è stato scelto anche un inusuale abbinamento con un raro atto unico mascagnano. Nella parte iniziale della serata infatti verrà proposto il poema sinfonico per voce e orchestra “A Giacomo Leopardi”, musicato da Mascagni nel 1898 su commissione del Comitato per le celebrazioni del centenario della nascita di Leopardi, caduto peraltro in un anno di forti e drammatiche tensioni e scontri sociali e politici nella giovane Italia fin de siècle. 1898: nel cinquantenario dei moti del ’48, l’anno  convulso delle “rivolte” e della proclamazione dello stato d’assedio da parte del capo del governo Antonio Di Rudinì (pochi mesi dopo defenestrato per Pelloux…), l’anno che vide la feroce repressione a Milano con il generale Bava Beccaris che cannoneggiò – letteralmente – la folla lasciando in piazza decine e decine di civili morti, arresti politici di anarchici, socialisti e “codini”, le nostalgie “cesariste” e lo stato monarco-liberale sull’orlo del baratro, tanto che persino un “conservatore” e “liberale di destra” come Benedetto Croce, annotava: «la reazione fa progresso e con essa il suo fido compagno, il cretinismo»….

Ma di tutto ciò, in quest’opera di Mascagni, difficile forse trovare anche una sola flebile eco intessuta sullo sfondo, incardinata com’è su una lettura leopardiana non “attualizzata” – per così dire – e abbastanza comune a fine Ottocento: intimista, patriottica e “passionalmente” romantica, in un viaggio attraverso i frammenti musicati tratti da cinque importanti – ognuno per aspetti diversi – testi poetici leopardiani: Canto notturno, Il Sabato del villaggio, Il primo amore, All’Italia e A se stesso. A Giacomo Leopardi di Mascagni, esperimento musicale pressoché unico nella produzione dell’ultimo Ottocento italiano, venne accolta da un grande successo di pubblico (ebbe, tra i molti, anche il plauso dei due maggiori poeti dell’epoca, i  “fratelli coltelli” Gabriele D’Annunzio e Giovanni Pascoli, anch’egli in quei mesi impegnato in studi e riletture leopardiani per il centenario). In esso il compositore ripercorre le tappe più importanti della vita di Leopardi, dalla gioventù, alle prime fasi dell’età adulta nelle quali si intravede “il pensiero infelice che caratterizzerà tutta la sua esistenza, passando poi per il palpito d’amore, un sentimento nuovo e sconosciuto fino al sentimento patriottico e alla morte liberatrice”.

Per gli amanti del genere, attesa anche per  il nuovo allestimento di Cavalleria rusticana del Teatro dell’Opera Giocosa, realizzato in coproduzione con i Laboratori della Fondazione Teatro Verdi di Trieste, che si preannuncia del tutto diverso e innovativo sotto diversi aspetti. La regia, curata da Francesco Torrigiani, porta in scena una rappresentazione che si libera da ogni dettaglio folklorico, assumendo una forma più scarna ed essenziale che esalta il senso realistico-veristico immaginato da Mascagni e lo arricchisce, al contempo, di profondità e sentimento. «Una tragedia classica che si maschera da rusticana – così definisce il regista il suo ideale di partenza – Mascagni coglie proprio l’anima siciliana meno superficiale, più profonda ed intima, ritualizza nella cultura dell’isola ogni comportamento dell’essere umano. Ecco allora che balzano subito alla memoria diversi paralleli cinematografici, di quel cinema che ha saputo riportare sugli schermi un senso tragico della vita: ho pensato a Sergio Leone ed al suo indiretto allievo Tarantino. Il mondo di frontiera quale il far west del regista romano o più in generale l’america del cinema marginale violento di Tarantino diventano il luogo di una nuova “tragedia classica”».

In buca, l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, diretta da Giovanni Di Stefano; sul palcoscenico, accanto al Coro lirico e Voci Bianche “P. Mascagni” di Savona (diretti da Gianluca Ascheri), calcheranno la scena anche quest’anno numerosi giovani, nomi già noti del panorama lirico italiano, tutti al debutto nel ruolo. Elena Nebera interpreterà Santuzza, Angela Nicoli sarà Lola, Stefano La Colla vestirà i panni di Turiddu, mentre Alfio sarà interpretato da Francesco Landolfi; la genovese Giorgia Bertagni, infine, pur avendo affrontato in passato il ruolo di Lola, non aveva mai cantato la parte di Lucia. Le scene sono curate da Pier Paolo Bisleri e i costumi da Greta Podestà, infine le luci sono ad opera di Gianni Pollini.

Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni – Il debutto di quest’opera (nel maggio 1890) è stato assunto dalla storia del teatro musicale come spartiacque nell’evoluzione del melodramma italiano di fine Ottocento. Il panorama che l’Italia postunitaria offriva nell’ambito operistico era variegato, ma tutt’altro che entusiasmante. L’opera di Mascagni sconvolse letteralmente la calma e la routine di quegli anni: un caso al limite dello scandalo, un grande successo che apportò repentina fama al giovane musicista livornese la cui opera varcò in pochi mesi le Alpi, mietendo successi e riconoscimenti ovunque. Senza dubbio, tra i motivi che determinarono la fortuna di Cavalleria rusticana, lavoro ispirato all’omonimo dramma di Giovanni Verga, maestro del verismo letterario, si debbono annoverare la drammaticità del soggetto, la sua passionalità accesa, l’ambiente popolare, un’ondata di assoluta novità che si contrappose ai soggetti di sangue blu, classici protagonisti del melodramma romantico, soppiantati da una classe proletaria, i cosidetti ‘vinti’, secondo la qualificazione verghiana, da sentimenti primitivi, violenti e fugaci quali amore, vendetta, tradimento. Sentimenti puri, dalle sfaccettature molto forti che trovano la loro espressione nella predilezione di registri vocali acuti, quasi confinanti con il grido, senza dimenticare però né la coralità, che rafforza la presenza della massa, del popolo che irrompe sulla scena, né il recitato, innervato di una carica melodica a dir poco inedita.