Cosa resterà di questi anni zero (prima parte)

di Alfredo Sgarlato – Cosa merita di essere ricordato del decennio appena trascorso? Se ci occupassimo di politica o società ce la caveremmo facilmente dicendo: nulla. Ma poiché in questa rubrica ci occupiamo di cultura il discorso sarà impegnativo.

Per quanto riguarda la musica, rock in particolare, le innovazioni non sono state tanto stilistiche quanto tecniche, poiché sono cambiati radicalmente i modi di produrre e ascoltare musica. Con la tecnica digitale incidere un disco è facilissimo e per niente costoso; poi l’avvento di internet, con i siti di condivisione e You Tube e i social network come Myspace e Facebook ha reso possibile a chiunque trovare e distribuire musica in quantità enormi e in tempo limitato. Perciò l’esplosione di nuovi gruppi è ormai incontrollabile e chi segue più di un genere è realmente impossibilitato ad ascoltare tutto quello che viene prodotto.

Questo non avviene a scapito della tecnica: ormai è professionale e tecnicamente preparata anche l’ultima delle pub band. Cambia però la modalità di ascolto: i riti che ricorda chi è stato adolescente negli anni ’70 e ’80 come l’interminabile caccia al disco nuovo e raro, magari scelto per la copertina illustrata splendidamente, l’ascolto collettivo in religioso silenzio, la compilation registrata con passione al nuovo amico o all’amica carina (che la perdeva entro 24 ore…) sono ormai reperti del passato come la Topolino amaranto.

Oggi il quarantenne compulsivo scarica migliaia di dischi con cui riempire l’I-pod, mentre il ragazzino ascolta direttamente dal computer dal blog di un amico o dal sito del gruppo mentre, contemporaneamente, chatta, scambia sms, gioca a un videogame e fa i compiti. Però quando un disco piace veramente lo si compra e in vinile, per avere l’oggetto da collezione (le vendite di dischi in vinile sono le uniche in aumento), oppure lo si compra ai concerti, come il souvenir di una bella vacanza.

Per quanto riguarda gli stili, come dice Simon Reynolds, uno dei giornalisti musicali più interessanti, dobbiamo dare per morta l’idea fondante del secolo scorso, cioè che l’Arte debba costantemente tendere al nuovo e al moderno. È stato così per l’epoca d’oro del rock (circa 1966/1982), poi sono iniziati i revival. Negli anni ’90 l’avvento del CD ha portato alla ristampa di tutto il repertorio abolendo il settarismo della generazione precedenti (quando essere punk o dark o metallari era più importante che un’appartenenza locale o politica) e portando a contaminazioni “laterali” o, come potrebbe dire Achille Bonito Oliva, a una “Transavanguardia”, pensiamo al gruppo più intelligente e dandy dei ’90, gli Stereolab, che fondono il rock più avveniristico (Neu, Can, Suicide) col lounge pop degli anni ‘50/’60 o gruppi come Red Hot Chilli Pepper o Jane’s Addiction che fondono i generi più stradaioli (punk, metal, funky) fino ad allora antitetici.

Oggi si sentono molti gruppi validissimi ma che suonano manieristi, come i molti gruppi che si rifanno ai Genesis o ai Joy Division. Oppure capita di sentire nomi di culto dell’underground come i  e pensare “bello ma è del 2009 o del ’79?” o come gli osannati Fleet Foxes e pensare “bello ma è del 2008 o del ’68?”. Ovviamente il rock non è morto e non morirà mai: resta da capire se diventerà come il jazz, cioè musica per quarantenni laureati che lo ascoltano soprattutto dal vivo, come la lirica, cioè musica di nicchia che sopravvive rifacendo sempre gli stessi classici, o del rap, cioè passare da essere la musica più eversiva e proletaria a quella più inquadrata e commerciale.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato