Oscar… e no

di Alfredo Sgarlato – Premesso che se vincesse davvero il migliore vincerebbe sempre e solo Clint Eastwood, possiamo che poche volte come quest’anno gli Oscar sono stati così prevedibili. In passato, secondo la logica hollywoodiana veniva privilegiato l’aspetto commerciale e spettacolare, da qualche anno si preferisce l’impegno, purché esplicito e digeribile per le masse: questo spiega come abbia vinto The Hurt Locker, pacifista e patriottico insieme, ma quasi ignorato in sala, invece che due film definitivi come A Serious Man dei fratelli Coen e Bastardi senza gloria di Tarantino, esempi di un cinema d’autore ma anche riconducibile ai generi il cui messaggio (nel primo caso fin troppo forte) va letto tra le righe.

Per questo motivo le giurie dell’Oscar hanno ignorato o relegato a premi minori Chaplin, Hitchcock. Welles, Kubrick o un monumento come Apocalypse now, o che la vittoria di Scorsese con il non indimenticabile The Departed sia considerabile un premio alla carriera o un premio di ripazione. Succede spesso, anche nei festival, pensiamo a Visconti o Zhang Yimou premiati a Venezia per opere minori per risarcirli degli errori di chi pensava che un film cinese non sarebbe mai uscito in Italia o di chi anteponeva l’ideologia alla critica. Ed è successo anche quest’anno, visto che Jeff Bridges ha finalmente preso quel premio che meritava da quarant’anni per aver interpretato uno dei film più belli nella storia del cinema (L’ultimo spettacolo, di Peter Bogdanovic, 1971) e per il Drugo Leboski, eroe di un film che è già stracult (sempre dei Coen).

Così un premio alla carriera sembra l’Oscar a Sandra Bullock, attrice di seconda fila. Avatar, il campione di incassi piaciuto anche alla critica si deve accontentare di qualche premio minore, ma James Cameron, che è anche l’autore di due gioielli come Terminator e The Abyss il suo posto nella storia del cinema c’è l’aveva già, quindi l’avrà presa con filosofia e avrà festeggiato con l’ex moglie Katherine Bigelow, che negli anni ’90 aveva diretto una serie di ottimi film e sembrava persa per strada. Il successo di Hurt Locker speriamo contribuisca a rilanciarla.

Rimane il miglior film straniero: qui c’è stata la sorpresa, ma in questo caso la giuria segue criteri un po’ bizantini e sono pochi i giurati che hanno visto tutti i film non USA in gara. Comunque non mi dolgo per la sconfitta de Il Nastro Bianco, film tra i meno peggio di un regista, Michael Haneke, che detesto, né per l’esclusione di Baaria, film tra i meno peggio di un regista, Tornatore, che non mi dice granché, mentre mi erano piaciuti moltissimo i film precedenti di Jacques Audiard, regista de Il Profeta, grande sconfitto a Cannes e agli Oscar e trionfatore ai Cesar francesi. Speriamo che la vittoria garantisca una buona distribuzione al film argentino premiato: il vincitore straniero dell’anno scorso, il giapponese Departures, in Italia non è ancora uscito e chissà se uscirà mai.

Qualche anno fa era questo il vero significato dei premi: garantire un uscita in sala a film che altrimenti sarebbero scomparsi, e orsi palme leoni ci hanno fatto scoprire grandi artisti come Kusturica o Kim Ki Duk. Ma ormai il mercato del cinema è talmente congestionato che nemmeno un premio garantisce una buona distribuzione ad una film. Perlomeno in sala, perché chi pensa che la sorte di un film sia il DVD o la pirateria trova tutto.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato