Hey Joe, stanno suonando la tua canzone

di Alfredo Sgarlato – Cover è in gergo musicale una canzone eseguita da un musicista che non è l’autore o quello che l’ha lanciata. Prima degli anni ’60 era la prassi: nella musica pop come nella classica compositore ed interprete erano ben distinti. Con l’arrivo dei cantautori, Dylan in testa, anche i gruppi rock si adeguarono all’usanza di essere autori e interpeti della propria musica, a cominciare da Beatles e Rolling Stones che nascevano come cover bands. Non che i musicisti rock abbandonassero le covers, anzi alcune canzoni come All along the watchtower ed Hey Joe nella versione stravolta di Jimi Hendrix divennero quasi dei nuovi originali.

Hey Joe merita qualche parole in più. Attribuita a Dino Valenti, misconosciuto talento della chitarra anche lui distrutto da droga e vicissitudini, che probabilmente non l’ha mai incisa, pare sia stata in realtà scritta da tale Bill Roberts, che non la incise mai neppure lui (pubblicò un solo disco e in poche copie). Ma secondo alcuni amici e la fidanzata, Bill copiò una loro canzone (begli amici…). Roberts donò i diritti a Valenti che, appena uscito dal carcere, aveva bisogno di soldi. Nel frattempo Hey Joe andava in classifica con le covers incise da Leaves, Standells, Love, Shadows of Knights (cosiddette “garage band”, all’epoca di successo solo locale, poi ampiamente riscoperte da critici e collezionisti). Finchè non arrivò Hendrix, la cui versione è la base per mille altre, e non è un modo di dire, le covers di Hey Joe sono oltre 1500…

Forse il più incredibile caso di musicista sconosciuto reso ricco da una cover è quello di Fred Neil appartato cantautore degli anni ’60, che scrisse per Harry Nilson Everybody’s talkin’ e questa fu scelta casualmente dal regista John Schlesinger per la colonna sonora del film Un uomo da marciapiede (Schlesinger voleva un pezzo di Dylan ma costava troppo), diventando un successo planetario che permise a Neil, diventato ricco, di abbandonare la musica e dedicarsi alla sua autentica passione, lo studio dei delfini (e infatti The Dolphins è il titolo della sua canzone più bella, nota soprattutto per le covers di Tim Buckley e This Mortal Coil). Benché negli anni ‘70/’80 sia più considerato che incide musica propria che chi è solo esecutore le cover non passano di moda, anzi è tipico dei gruppi della cosiddetta “New Wave” inserire una cover stravoltissima nei loro dischi, esempio più celebre l’irriconoscibile Satisfaction dei Devo.

Addirittura alcuni celebri musicisti si cimentano in dischi di covers, facendo a gara a chi sceglie i brani più sconosciuti e a chi li stravolge di più: apre la strada ovviamente David Bowie con l’ottimo Pin Up, gli esempi più riusciti sono probabilmente Kicking against the pricks di Nick Cave (che contiene un’ irriconoscibile Hey Joe) e It’ll end in tears del progetto This Mortal Coil, supergruppo dei musicisti che incidevano per l’etichetta 4AD, specializzata in rock gotico (o dark, come si diceva ai miei tempi, in cui la 4AD godeva di un culto fortissimo), che ebbe il merito di far riscoprire artisti maledetti dimenticati come Alex Chilton o Tim Buckley (tutto si tiene).

Negli anni ‘80/’90 le cover hanno avuto una grande riscoperta, anche grazie ad album tributo ad un musicista o un gruppo (gli XTC, uno dei gruppi più dotati di humour partecipano al tributo a sé stessi sotto falso nome e con una cover di un brano raro), o album di covers inseriti in un progetto di beneficenza, come Red Hot and Blue, le canzoni di Cole Porter per finanziare la lotta all’AIDS, o Freedom of choice (da una canzone dei Devo), brani della new wave reincisi da gruppi “alternative” per sostenere le politiche pro diritto di aborto. La New Wave è al centro di uno dei progetti più interessanti del decennio scorso, Nouvelle Vague (cioè nuova onda in francese) di Marc Collin e Olivier Liboux che riprendono le più belle canzoni della New wave (nuova onda in inglese) , le ri-arrangiano come bossa nova (nuova onda in brasiliano), facendole cantare a ragazzine che non erano ancora nate quando uscivano quelle canzoni. Ottimo il loro primo disco, poi ne hanno fatti altri due non male ma senza la magia del primo. Sentendolo mi sono chiesto come l’avrebbero accolto i fans originali dell’epoca: beh, lo adorano.

‘Oggi le cover band hanno sempre più successo, spesso anche come tribute band (cioè omaggi a un solo musicista), e i locali molte volte accettano solo loro’.

Il pubblico vuole il già sentito e le band fanno a gara a somigliare agli originali, a volte persino fisicamente. L’opposto di quanto succedeva in passato, quando i musicisti cercavano soprattutto l’originalità e la cover era una sfida in fatto di conoscenza dei gioielli perduti del passato o di capacità di stravolgerlo. Anche da queste piccole tendenze si nota come la cultura dominante non sia più quella progressista del ventesimo secolo ma quella reazionaria.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato