Festival teatrale di Borgio Verezzi, Stefano Delfino: “un bilancio dei miei vent’anni da direttore artistico”

Stefano Delfino

Il motivo di questa comunicazione? «Perché è esaurito il mio quarto incarico quinquennale e, dal momento che a Borgio Verezzi ci sono le elezioni comunali, non è detto che nel 2022 sia ancora io il direttore artistico del Festival: la nuova amministrazione potrebbe anche non rinnovarmi l’incarico e comunque bisognerà verificare se esistono le condizioni per continuare. E comunque, dopo vent’anni, mi pare opportuno fare un bilancio di questa esperienza che per me ritengo esaltante.»

Qualche dato statistico.
«Dalla nascita nel 1967 ad oggi il Festival ha proposto complessivamente 330 spettacoli. Dal 2002 al 2021, sotto la mia direzione, sono stati 190, di cui 161 in prima nazionale. Nei 35 anni precedenti, erano stati 140, dei quali 70 in prima nazionale.»

L’inizio.
«Quando nel 2001 l’allora sindaco Giancarlo Vadora mi chiese se me la sentivo, non ho risposto subito ma ho preso tempo. Avevo un po’ di esperienza poiché, con ruoli diversi, dall’ufficio stampa al consulente della direzione artistica, ero all’interno degli ingranaggi del festival dal 1973. Mi sono consultato con alcuni amici del settore teatrale ed ho accettato solo dopo che mi sono sentito incoraggiato dai loro pareri positivi.»

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I rapporti con i sindaci.
«Sono, e sarò sempre, grato a Vadora per la fiducia che mi ha concesso (e per avermi difeso da incursioni esterne) e anche all’attuale sindaco Renato Dacquino: da entrambi ho avuto la massima libertà e ho potuto sempre fare le mie scelte senza condizionamenti, a parte quelli di tipo finanziario.»

Il bilancio di venti anni.
«Senza ipocrisia o falsa modestia ritengo che il bilancio di questi vent’anni sia assolutamente positivo: lo confermano i pareri di tanti autorevoli personaggi del settore, i premi ricevuti (Persefone Award ad Agrigento nel 2004, Vittorio Gassman a Lanciano nel 2007 e Tatiana Pavlova a La Spezia nel 2016, oltre alle ripetute affermazioni al Festivalmare di Sanremo) gli elogi espressi da molti spettatori. Sono contento di avere tolto alcune ragnatele al festival e di avergli dato un’impostazione più moderna e manageriale, grazie alla preziosa collaborazione dell’amministrazione e dello staff comunale. Al proposito, ricordo l’avvicinamento graduale al Festival attraverso comunicati in cui si svelano alcuni spettacoli; le conferenze stampa a Roma e a Torino; la dotazione del ring, strumento ormai indispensabile, invocato come regista da Alessandro Benvenuti prima del 51.o Festival; la biglietteria online e così via. Consacrazione nazionale
In questi due decenni, il Festival si è definitivamente affermato in campo nazionale, grazie anche alla preziosa collaborazione dell’amministrazione e dello staff comunale. Quello di Borgio Verezzi adesso è un nome ben noto in Italia e anche all’estero, a giudicare dalle proposte che ogni anno mi giungono da vari Paesi stranieri.»

Eppure c’è ancora chi rimpiange il passato.
«Agli immancabili nostalgici, rammento che in più di mezzo secolo di vita della manifestazione il mondo è completamente cambiato, a cominciare dal segmento dell’informazione, e che non è più il tempo delle “vacche grasse”. E questo ha provocato ovvie ripercussioni anche sul festival. I classici, ad esempio, è sempre più difficile metterli in scena perché hanno molti personaggi, scene e costumi d’epoca. E di conseguenza costi insostenibili, il che induce molte compagnie a preferire testi contemporanei più agevoli da produrre.»

Il segreto di tanti successi?
«Nessun segreto, ma un metodo: vedere tanti spettacoli (nell’era pre Covid, mediamente una sessantina all’anno), leggere con attenzione tutti i copioni giunti, valutare non soltanto i nomi degli interpreti e dei registi ma anche quelli di scenografi, costumisti e autori delle musiche per avere una visione complessiva del progetto. Mai decidere di getto, ma meditarci su con calma: c’è un solo spettacolo di cui mi vergogno (benché al pubblico sia piaciuto…) ed é l’único scelto di fretta. E, nel predisporre il programma più vario possibile, per attirare frange diverse di pubblico , dimenticare i propri gusti personali. In questi ultimi anni, comunque, il filone del “sorriso intelligente”, cioè di commedie si, ma con problematiche che inducano alla riflessione, e in cartellone un mix “di alto e di basso”, mi pare che sia stato accolto favorevolmente, con uno sguardo più proiettato verso testi di autori contemporanei italiani e stranieri. E poi, come dice Lello Arena in “Parenti serpenti”, “non c’è nulla di male a far ridere la gente”.»

Soprattutto prime nazionali
«È la caratteristica vincente del nostro festival: le compagnie vengono volentieri poiché si è sparsa la voce che debuttare qui porti fortuna. E poi il contributo alla produzione mi consente di intervenire sulla scelta degli interpreti, mentre l’obbligo di inserire il nostro logo sul materiale promozionale dello spettacolo durante le tournée costituisce un’eccellente pubblicità al Festival e porta il nome di Borgio Verezzi in giro per l’Italia.»

Lo spettacolo più amato.
«Quando sono tutti figli tuoi non è facile avere preferenze. Però di uno sono particolarmente orgoglioso: “Figli di un Dio minore“, che in scena aveva un’attrice sordomuta e il protagonista Giorgio Lupano si esprimeva nel linguaggio dei segni. Non dimenticherò mai il silenzioso applauso finale di comitive di spettatori con questa disabilitá: una selva di mani agitate in aria. E nella memoria resta inciso anche il battimani che spontaneamente si è levato dai balconi e dalle terrazze di Verezzi verso i detenuti del carcere genovese di Marassi, mentre incolonnati e scortati dalla polizia penitenziaria attraversavano il paese dopo avere interpretato “Angeli con la pistola”.»

In vent’anni sono sfilati al Festival centinaia di attori
«Alcuni di essi sono “vecchie conoscenze” di Verezzi, altri invece new entry, ma tutti entusiasti della location e dell’accoglienza, come ad esempio quest’anno Emilio Solfrizzi. Ne ricordo solo qualcuno, incontri dei quali sono orgoglioso: personaggi notissimi, come Il soprano Katia Ricciarelli, la cantante Tosca, monumenti del cinema come Isa Barzizza, Lisa Gastoni, Giovanna Ralli, Valeria Ciangottini e Toni Servillo, del jazz (Enrico Rava), del teatro napoletano (Luigi De Filippo), di quello spagnolo (il regista Rìcard Reguant). Senza dimenticare alcuni debuttanti illustri: Alessandro Gassman nella regia, il compianto giornalista Sandro Mayer e lo scrittore Carlo Lucarelli come autori teatrali. E questo senza tenere conto delle star del palcoscenico “prestate” alla tv (comunque spesso preziose per attirare pubblico), una consuetudine del festival che, rammento ai soliti critici, era già iniziata nei lontani anni Settanta con Nino Castelnuovo (I promessi sposi), Aldo Reggiani (La freccia nera), ecc.»

Qualche aneddoto.
«Ne ho parecchi da scovare negli anfratti della memoria. Mi limito a citarne uno: gli applausi che per tre sere il pubblico tributó alla scenografia di Alessandro Chiti in “Tango delle ore piccole” quando sul palcoscenico irrompeva a sorpresa la prua di una nave. In mezzo secolo di teatro da spettatore, mai ho sentito batter le mani alla scena.»

Sogni nel cassetto
«Qualcuno l’ho realizzato. Nonostante sia l’autore più rappresentato al Festival, di Shakespeare mancava “Amleto”, la sua opera più famosa, ma grazie a Maximilian Nisi ha aperto l’edizione del 2009. E poi “Ballando Ballando” dal film di Scola, ossia il “Le bal” del 51.mo Festival, e ancora “I ponti di Madison County”, in cui Paola Quattrini, presenza abituale a Verezzi in ruoli brillanti, nel 2008 si è cimentata con grande successo in una parte drammatica. Con rammarico invece non sono riuscito a farcela con “Polvere di stelle”, dal film con Monica Vitti e Alberto Sordi (costi elevati), mentre Giulio Scarpati mi ha preceduto per “Una giornata particolare “, dal film di Scola con Mastroianni e la Loren.»

In sintesi?« Sono molto soddisfatto del lavoro svolto e sono affezionato a tutti gli spettacoli proposti, anche perché tutti, chi più chi meno, sono stati prodotti di qualità medio alta come conferma il fatto che parecchi di essi hanno poi circuitato nelle stagioni invernali per due-tre-quattro anni (“Parenti serpenti” ha mancato la quinta solo a causa della pandemia). E mi fa piacere aver concluso il ciclo alla grande con una stagione da ricordare alla quale ha posto il sigillo uno spettacolo sempre tutto esaurito come “Tre uomini e una culla“.»