Boris Vian, eccentrico eclettico

di Alfredo Sgarlato – Quest’anno così nefasto per mille motivi è anche ricco di anniversari legati a grandi artisti. Rifugiamoci momentaneamente in un’epoca migliore e andiamo alla riscoperta di Boris Vian. Nato a Ville d’Avray, piccolo comune di provincia, il 10 marzo 1920, si laureò in ingegneria, ma non svolse mai quel lavoro, fece molto altro. Fin da bambino scrisse poesie e imparò a suonare la tromba. Si innamorò del jazz, della fantascienza e dei noir.

A diciannove anni andò a vivere a Parigi, dove apre un locale, traduce Chandler, Van Vogt e Strindberg, organizza concerti di Duke Ellington (che sarà il padrino di sua figlia) e Miles Davis, ma soprattuto scrive. Poesie, racconti, romanzi, teatro, canzoni, articoli per le riviste “Les temps modernes” di Sartre e “Jazz Hot”. Ma pubblica poco e vende ancora meno. Il suo successo è in gran parte postumo, grazie alla canzone “Le deserteur” manifesto contro la guerra e la sua barbara inutilità, che vedrà decine di cover, anche in italiano. In realtà un successo in vita lo ebbe, beffardamente grazie a un romanzo non scritto col proprio nome. Per scommessa scrisse in pochi giorni un noir violento ed erotico, “Sputerò sulle vostre tombe” (1946), firmandosi Vernon Sullivan. Vendette migliaia di copie, ma gli costò la denuncia per offesa alla pubblica morale e il disprezzo della critica.

Escluso “Sputerò sulle vostre tombe“, che è un classico noir all’americana, i suoi romanzi, una decina, amati da Queneau e Prevert, sono inclassificabili. Surrealismo, humour nero, fantascienza, romanticismo folle si alternano nelle sue pagine. Come avviene agli autori non incasellabili in Italia prima degli anni ’90 è praticamente sconosciuto, anche per la difficoltà di tradurre il suo stile pieno di giochi di parole; ma anche in Francia viene apprezzato solo col ’68, per la sua carica eversiva ma sempre scherzosa, grazie anche a Serge Gainsbourg che lo dichiarò suo maestro.

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Vian morì il 23 giugno 1959, mentre era al cinema, alla prima della versione cinematografica del suo unico successo. La leggenda narra che fu straziato dalla bruttezza del film, ma in realtà fin da bambino aveva avuto problemi reumatici e cardiaci. Forse fu la consapevolezza della possibilità della morte a renderlo così vitale, creativo, anticipatore, sprezzante di mode e giudizi. Concludiamo con due sue frasi famose: «Sono solo due le cose che contano: l’amore, in tutte le sue forme, con ragazze carine, e la musica di New Orleans e di Duke Ellington. Tutto il resto è da buttar via, perché è brutto…» «La maggioranza ha sempre torto».