Fenomeni social/i e sincronicità

di Alfredo Sgarlato – Costretto a casa da malanni, pandemie, allerte meteo e così via, il vostro affezionatissimo cronista riflette sul suo articolo settimanale circa. Il maggior tempo passato a casa è anche (purtroppo…) maggior tempo passato sui social, ma questo mi porta spunti di riflessione. Si commenta con un amico di Facebook il vivere in un universo parallelo in cui la notizia del giorno non è la politica o il festival di Sanremo, ma il cordoglio per la precoce scomparsa di David Roback, chitarrista di grandi band oscure come Opal e Mazzy Star; un cordoglio simile a quello per il genietto Mark Hollis, e non minore di quello provato per star come David Bowie o Leonard Cohen.


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David Roback e Hope Sandoval

C’è chi ha dato un nome a questo fenomeno social/e: la “comunità immaginaria”. Da tempo filosofi e politologi riflettono sul bisogno umano di sentirsi parte di qualcosa di più grande, visione del mondo che è più tipica delle società orientali, e meno forte nel mondo occidentale dominato dall’individualismo, specie di marca liberista. Per i comunitaristi classici, che spesso degenerano in un’ideologia di ultradestra, la comunità è mondo senza diversità, legato da una comune appartenenza religiosa o etnica (esempio perfetto l’Islam, che pure per i comunitaristi nostrani è il nemico assoluto).

Ma per il disincantato cittadino del terzo millennio, pur sentendo sempre più forte il desiderio tribale di essere in contatto coi propri simili, ideologie e religioni sono sinonimo di guerre, povertà, sottomissione. Quindi la somiglianza e la differenza tra le persone non può che essere culturale: già negli anni ’50 Tomasi di Lampedusa scriveva “le somiglianze e le differenze tra gli uomini una volta erano date dal sangue, oggi dai soldi, domani chissà, forse dalla lettura di un libro” (cito a memoria). O da un disco: chi come me ha vissuto gli anni ’80 (ormai pietra di paragone dell’immaginario collettivo) sa quanto la passione per uno sconosciuto gruppo rock underground facesse nascere amicizie e perfino amori. Così va nel mondo di internet: quanti lamentano che non conosciamo i vicini di casa e poi abbiamo migliaia di amici virtuali, dimenticando che col vicino potremmo non avere nulla da dirci mentre lo abbiamo con persone conosciute via social. I comunitaristi tradizionalisti non capiscono che non può esserci un valore se non c’è una scelta: essere nati in un luogo, cresciuti con una cultura è frutto semplicemente del caso, non può essere fondamento dell’identità, diversamente da una scelta culturale consapevole.

Felice Casorati, Nudo su sfondo blu

Ma continuando a vagare per la rete mi appaiono fenomeni ancora più interessanti. A volte, di colpo, si direbbe che un autore dimenticato o poco noto salga al proscenio, per esempio io pensavo di essere uno tra i pochi ad amare il pittore Edward Hopper, che invece ho scoperto essere amatissimo; chissà, forse una mostra, un film sono galeotti, la recente mostra a Palazzo Ducale può aver riportato interesse sull’arte italiana del primo ‘900, ma basta a spiegare l’invasione di opere di Casorati che trovo sui social? A volte pensare ad un contagio culturale o emotivo non basta, per quanto siamo tutti connessi non è che lo siamo proprio tutti. Secondo Jung le coincidenze non esistono, esiste un inconscio collettivo e quando si verifica una contemporaneità di eventi non è un caso ma quella che chiama “sincronicità” o principio dei nessi a-causali. Io non condivido il pensiero di Jung fino in fondo, mi sento consolato non dalla spiritualità ma solo dal più totale materialismo, eppure certe coincidenze, certi fenomeni mi fanno pensare che forse una connessione tra menti simili possa esistere davvero.