Elio Petri, il visionario maledetto

di Alfredo Sgarlato – Qualche giorno fa ci ha lasciati il grande attore Flavio Bucci, e con mia grande sorpresa, Rai3 ha scelto di ricordarlo con una delle sua prime interpretazione “La proprietà non è più un furto“, di Elio Petri. Scrivo sorpresa poiché, come già scrivevo in passato, Petri non è un autore particolarmente amato dalla RAI e dalla critica, benché oggi sia in corso di rivalutazione. Comunista, critico verso il PCI, propenso più all’apologo che alla denuncia sociale, Petri ha diretto almeno un paio di film entrati nel famigerato immaginario collettivo.

La proprietà non è più un furto

Dopo la gavetta come assistente di De Santis e documentarista, Petri debutta nel lungometraggio con “L’assassino” (1961), noir grottesco in cui l’antiquario Mastroianni è accusato di femminicidio, film non bellissimo ma godibile. Molto più riuscito il successivo “I giorni contati” (1962), in cui un ottimo Salvo Randone, da allora presenza più o meno fissa nei film di Petri, interpreta un operaio gravemente malato. Per alcuni anni Petri si cimenta coi generi: la fantascienza, con il divertentissimo “La decima vittima” (1965), con Mastroianni, in cui lo humour di Sheckley si fonde perfettamente con quello di Flaiano; il noir con “A ciascuno il suo” (1967), da Sciascia, forse il suo film migliore, con un ottimo Volontè; il fantastico con “Un tranquillo posto di campagna” (1968), il meno riuscito, l’argomento non sembra essere nelle corde di Petri e il protagonista, Franco Nero, con tutta la simpatia, non è certamente Volontè, Mastroianni o Randone.

Elio Petri

Negli anni ’70 il sodalizio con Gian Maria Volontè si stabilizza, e Petri realizza i suoi due film assurti al culto: “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970) e “La classe operaia va in paradiso” (1971). Film politici, in cui l’elemento visionario va a farsi sempre più forte, e i tratti grotteschi, con le interpretazioni di Volontè maghifiche ma sempre a rischio “overacting”, emergono a dare un ritratto straniato della società del tempo. Per quanto apprezzati la critica inizia a storcere il naso, il culto del realismo che da sempre ammorba la cultura italiana impedisce di apprezzare la tendenza all’apologo di Petri, a cui si rimpovera la propensione alla metafisica. I problemi vengono anche dal mimetismo di Volontè: il commissario di “Indagine…” allude fortemente a Calabresi, e il leader politico del successivo “Todo modo” (1976) è chiaramente Aldo Moro. Fondamentali invece per la riuscita di questi film sono le magnifiche colonne sonore di Ennio Morricone.

Advertisements
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Coi successivi “La proprietà non è più un furto“(1973) e “Todo Modo” i toni si fanno ancora più urlati, caricaturali, sono film meno riusciti, per quanto degni di essere visti, se non altro per l’originalità e la bravura del cast: oltre ai già citati ricordiamo in Todo Modo uno straordinario Ciccio Ingrassia e in “La proprietà…” Mario Scaccia. Dopo “Buone notizie” (1979), che non ho visto e di cui ho letto critiche disastrose, Petri ha difficoltà a lavorare, scrive molti progetti che non partiranno mai (li riporta un bell’articolo sulla rivista Blow Up), finché si ammala e muore a soli 53 anni. Per lunghi anni è stato ostracizzato, e molti suoi film invisibili in TV. Oggi è in corso di rivalutazione, rimane la curiosità per i film che avrebbe voluto e non ha potuto girare.

Todo Modo
«Il Neorealismo, se non è inteso come vasta esigenza di ricerca e di indagine, ma come vera e propria tendenza poetica, non ci interessa più (…) Occorre fare i conti con i miti moderni, con le incoerenze, con la corruzione, con gli esempi splendidi di eroismi inutili, con i sussulti della morale: occorre sapere e potere rappresentare tutto ciò.»
«La libertà di espressione va difesa per quello che essa fondamentalmente rappresenta: il diritto degli artisti di esprimersi e di indagare criticamente sul corpo della realtà in cui vivono, qualunque sia la società in cui vivano.»
(Elio Petri)