Charlie Parker, la musica del paradiso

di Alfredo Sgarlato – Cento anni fa, per la precisione il 29 agosto, ma noi ci portiamo avanti col lavoro, nasceva a Kansas City Charlie Parker, uno tra i musicisti più importanti del ventesimo secolo. Si sa poco sulla prima parte della sua vita, se non che il padre, artista di vaudeville, lo abbandonò da piccolo, che iniziò prestissimo a suonare il sax e altrettanto presto divenne, purtroppo, tossicodipendente.

Raccontò in un’intervista che si stufava a suonare improvvisando sulla melodia come si usava all’epoca, e iniziò una sera a improvvisare sugli accordi, cercando anche salti di un’ottava nelle sua frasi. Si racconta che per il suo modo di suonare venisse preso per pazzo, e che una volta il batterista gli tirò un piatto. Ma per altri giovani musicisti come Dizzy Gillespie, Max Roach e l’ancora più giovane Miles Davis, Parker fu la luce.

Charlie Parker e Miles Davis

Il nuovo stile venne chiamato Be bop e si diffuse dalla metà degli anni ’40. Con Parker e soci il jazz non è più musica da sala da ballo, ma musica da ascoltare, le melodie sono più complesse, il quintetto e non l’orchestra la formazione ideale, la batteria tiene il tempo sui piatti e non sulla cassa. Va detto che molti jazzisti non apprezzarono la svolta colta di Parker e soci, e spinsero sul pedale del ballo, trasformando il jazz in jive, quindi in rythm and blues, che quando Leo Fender inventa la chitarra elettrica diventa rock’n’roll per cui, se vogliamo, Parker scatenò due rivoluzioni. E poi potremmo parlare dei musicisti brasiliani in esilio che si innamorano del nuovo jazz e inventano la bossa nova, e dei jazzisti giamaicani che per campare suonano il rythm and blues, ma gli viene fuori col ritmo in levare, e inventano lo ska e il reggae, ma queste sono altre storie.

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Charlie Parker con Chet Baker e Max Roach

Come molti genii della musica Parker dissipò il proprio talento. La dipendenza da eroina scatenò la psicosi, e venne anche ricoverato in ospedale psichiatrico. I problemi psichici misero a rischio la carriera, sebbene la sofferenza caricasse di pathos alcune interpretazioni, come quella, leggendaria, di “Lover man“. Si raccontano molti suoi comportamenti bizzarri, come quando si presentava nudo in sala di incisione, o andava a prendere un amico per un giro in macchina, e lo sequestrava per un paio di giorni. Morì il 12 marzo 1955, in casa di un’amica (Pannonica De Koenigswarter, musa e mecenate di molti jazzmen) , mentre guardava un comico in tv. Il medico legale non seppe valutare la causa della morte, e stimò che Parker avesse al momento circa 53 anni.

La baronessa Pannonica De Koenigswarter

Come molti grandi del jazz Parker non fece studi regolari ma era un uomo coltissimo. Amava Bartok, Stravinskij, Hindemith e le musiche del mondo, ma diceva che la sua più grande ispirazione era il canto degli uccelli, che cercava di imitare. Per questo era soprannominato “Bird”, e “Bird of Paradise” era uno dei suoi cavalli di battaglia. Caso volle che il primo suo brano che io ascoltai, da ragazzino, fosse proprio quello. Era un bootleg, un’incisione pessima, ma quando partirono quel suono, quelle note di sax, fu una sensazione indescrivibile. Avevo scoperto la musica del paradiso.

Forest Whitaker interpreta Parker nel bellissimo “Bird” di Clint Eastwood