La poesia è donna. E molte volte sofferenza

di Alfredo Sgarlato – Da vari anni è molto aumentato l’interesse per la poesia scritta da donne, evento lodevole visto che la poesia in genere, benchè si dica che tutti o quasi ne scrivano, viene letta, e venduta, pochissimo. Incredibile il successo tardivo di Wisława Szymborska, e gettonatissime le autrici dalla vita terribile, come Alda Merini, che conobbe l’ospedale psichiatrico, o Emily Dickinson, che visse quasi sempre sola e reclusa nella sua stanza. Ma non sono le uniche: spesso poesia e condizione umana si sono intrecciate nel modo più drammatico nella vita di molte autrici: incontriamone qualcuna meno nota.

Anna Achmatova ritratta da Kuzma Petrov Vodkin

Partiamo dalla Russia. Marina Ivanovna Cvetaeva cominciò a scrivere all’età di sei anni. A partire dagli anni ’20 la sua poesia, di matrice simbolista e influenzata da Majakovskij, è molto apprezzata nel mondo intellettuale, ma con l’avvento di Stalin iniziò la persecuzione, anche perché il marito era ufficiale dell’armata bianca. Dopo l’esilio a Praga e poi a Parigi volle tornare in Russia a cercare il marito e la figlia, che non sapeva essere morti in un gulag. Nel 1941, sola e in condizioni di indigenza, si suicidò. Solo a partire dagli anni ’60 la sua opera è stata riscoperta. Anche Anna Andreevna Achmatova ebbe il marito fucilato, il figlio imprigionato, e lunghi periodi di silenzio imposto dalla censura, accusata di “estetismo” e “disimpegno”. Fu tra le prima a voler essere chiamata poeta e non poetessa; Dante era il suo poeta preferito.

Forough Farrokhzad

Breve e terribile la vita della persiana Forough Farrokhzad. Condannata ad essere sposa bambina, abbandona il marito e inizia una vita sentimentale libera, fatto che all’epoca era ben poco accettato anche in occidente. Scrive fin da ragazza poesie romantiche, cariche di sensualità ed erotismo piuttosto espliciti, caratteristiche che nell’Iran degli anni ’50 erano accettabili solo da parte di un poeta uomo. Frequenta il mondo del cinema, e gira da regista un documentario, “La casa nera (Khaneh siah ast)“, in un lebbrosario. Muore nel 1967 a soli 32 anni, in un incidente. Con l’avvento di Khomeini la sua opera viene probita. Oggi è stata riscoperta, e il suo film, creduto perduto, è stato ritrovato e acclamato come capolavoro.

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Anne Sexton

La scena americana è dominata dalla personalità di due donne splendide e infelici, Sylvia Plath e Anne Sexton. Ambedue sofferenti di disturbo bipolare dell’umore, dipendenti da psicofarmaci, vittime di abusi e di relazioni sbagliate con uomini violenti. Sylvia Plath cominciò a scrivere poesie sin da bambina, e scrisse anche romanzi. Si può considerare l’iniziatrice di una corrente di poesia detta confessionale, in cui l’argomento è totalmente autobiografica e impietosamente sincero. Anne Sexton la seguì, con argomenti ancora più espliciti: con lei per la prima volta in poesia si parla di adulterio, aborto, mestruazioni, masturbazione. Sylvia si suicidò nel 1963 a soli trent’anni: alcuni psichiatri definirono “Sindrome di Sylvia Plath” una forma estrema di depressione adolescenziale in cui una ragazza sviluppa l’idea delirante di morire per poi rinascere in un corpo più bello. Anche Anne Sexton mori suicida, nel 1974, a 46 anni.

Antonia Pozzi

Concludiamo il nostro viaggio nella poesia femminile in Italia. Antonia Pozzi visse solo ventisei anni, nella Milano degli anni ’30. Intelligenza e cultura notevoli, dotata di molti talenti, scrisse a un certo punto di non poter resistere alla disperazione. Un amore proibito, il rapporto opprimente col padre, reazionario e bigotto, la persecuzione degli amici ebrei: molte le cause dietro al suo male di vivere. La sua opera è tutta postuma e in gran parte pubblicata in anni recenti. Al contrario di lei, Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini, non rinnegò il padre fascista e fu una tradizionalista cattolica, addirittura seguace del vescovo Lefèbvre. Questo la emarginò dal mondo letterario, ma non le impedì di avere molte relazioni infelici con intellettuali sposati. Era considerata una donna affascinante, spiritosa, originale, ma era solitaria, agorafobica, cronicamente sofferente per una malformazione cardiaca. Morì a soli 54 anni, nel ’77, ma nel suo caso fu per i problemi cardiaci.

Cristina Campo

Anche Amelia Rosselli ha conosciuto la follia: soffriva di una forma di schizofrenia paranoide, che ovviamente negava, raccontava di essere spiata dalla CIA. Possibile che l’essere figlia di esuli, suo padre era il militante socialista Carlo Rosselli, l’abbia condizionata. Fu anche musicista ed etnomusicologa. Scelse di porre fine alla propria vita nell’anniversario della morte di Silvia Plath. Goliarda Sapienza conobbe invece il carcere e visse gran parte della vita in povertà, sebbene i suoi inizi siano stati come attrice e sia stata la compagna del regista Citto Maselli. Non riuscì ad ottenere la legge Bacchelli e fu in gran parte pubblicata postuma: eppure il suo capolavoro si intitola “L’arte della gioia“.

Amelia Rosselli