Come fallire alla grande scrivendo (poco)

di Alfredo Sgarlato – Un po’ di anni fa ho letto un articolo che mi ha colpito moltissimo: la storia di un giovane punk americano, che è andato a vivere a Parigi, ha fatto il musicista di strada ed è diventato un barbone. Nel periodo di barbonaggio ha scritto un romanzo, ed è riuscito a farselo pubblicare dalla prestigiosa editrice Gallimard dopo settanta rifiuti. Dopo il successo è tornato in America, si è sposato, ha scritto un altro romanzo e poi si è suicidato. Ho pensato: è assolutamente da leggere, ho segnato il nome, ho tenuto l’articolo e poi, ovviamente, ho perso il tutto. Dopo molto tempo ho letto un annuncio di un sito che vendeva libri scontatissimi. Ne ho ordinati alcuni di scrittori a me cari, poi ne ho trovato uno sconosciuto: “Il signore della fattoria”, di tale Tristan Egolf. Dentro di me è scattato un kantiano imperativo categorico che diceva: compra anche questo. Quando è arrivato il pacco e l’ho aperto, ho guardato quel libro chiedendomi cosa avevo comprato e perché. Come avrete intuito era il romanzo del giovane punk suicida. Il romanzo è effettivamente un capolavoro, uno dei più geniali e avvincenti che ho letto negli ultimi anni. Poi ho letto anche il secondo, “Sonata per Louise e violino”. Una delusione terribile. Un libro non brutto, peggio, qualunque. Può uno scrittore suicidarsi per non essere riuscito a replicare il suo primo capolavoro? Chissà.


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Se non ricordo male quell’ordine comprendeva anche “Il dolore di Manfred” di Robert McLiam Wilson. Di suo avevo letto “Eureka street”, resoconto eroicomico delle avventure degli abitanti di una quartiere di Belfast. Un romanzo trascinante, divertente, commovente, con un piede nella storia e uno nella fantasia. È il terzo romanzo di Wilson, Il dolore di Manfred è precedente e non raggiunge le stesse vette, è a differenza del successivo tutto giocato su un unico registro emotivo, ma è scritto benissimo e riesce nel difficile compito di farci interessare a un personaggio sgradevole. E poi mi sono informato se di Wilson fosse uscito qualcosa di nuovo. Niente. Il successo di Eureka street gli ha distrutto la carriera. Da più di vent’anni lavora a un nuovo romanzo di cui si sa solo il titolo, “The extremists”, la cui uscita viene continuamente rimandata.

Harold Broadkey

Il caso di McLiam Wilson può ricordare quello di Harold Brodkey. Negli anni ’50 Harold è un ventenne laureato e già sposato che si barcamena con lavoretti deprimenti. Un giorno capisce come può fare i soldi: diventerà uno Scrittore. Chiede alla moglie a che ora si mangia, c’è un tre quarti d’ora da aspettare, si chiude in camera e scrive il suo primo racconto. Nel 1958 esce la sua prima raccolta di racconta “Primo amore e altri affanni”, e pubblico e critica esaltano il nuovo Proust, il nuovo Joyce. Da lui ora ci si aspetta il Grande Romanzo Americano, e Broadkey annuncia che sì, lo sta scrivendo. Aspetteranno a lungo. Solo nel 1988, su insistenza della moglie e dell’editore uscirà una nuova raccolta di racconti, “Storie in modo quasi classico”. Va detto che i racconti di Broadkey sono molti lunghi e complessi, sebbene basati su episodi minimi. Un punto di incontro tra il minimalismo di Carver, Cheever, Yates e il massimalismo di Pynchon, De Lillo, Foster Wallace. Solo nel 1991 esce il sospirato primo romanzo, “The Runaway Soul”, che delude la critica per partito preso, seguìto dall’annuncio che Broadkey ha l’AIDS. Si trasferisce a Venezia, dove un’associazione culturale gli chiede una prefazione per un catalogo. Lui accetta con entusiasmo, e ne escono un nuovo romanzo, “Amicizie profane” e un saggio, “My Venice”. Che tipo Broadkey. Chissà se avesse avuto veramente voglia di scrivere, o se il primo racconto fosse stato stroncato, cosa avrebbe combinato.

La vicenda di Broadkey può ricordare un’altra carriera sfortunata, quella di Walter Tevis. Forse Tevis non voleva davvero fare lo scrittore: da ragazzo aveva due grandi passioni, il biliardo e la fantascienza, che gli ispirarono due romanzi: “Lo spaccone” e “L’uomo che cadde sulla Terra”. Due romanzi non di successo ma che diventeranno libri, e film, di culto. Inizialmente Tevis non gli dà seguito, troppo preso dal lavoro e dai malesseri esistenziali, che sfoceranno in depressione e alcolismo. Nel 1980 scopre di avere il cancro e decide di dedicarsi seriamente alla scrittura, ma scriverà solo quattro romanzi prima della morte a soli 56 anni. Tra questi “Mockingbird” (in Italia “Futuro in trance” o “Solo il mimo canta al limitare del bosco”: che fantasia i titolisti italiani, sarebbe materiale per un articolo), oggi riscoperto tra i capolavori del genere, e “Il colore dei soldi”, seguito de Lo spaccone. Tutti i suoi libri sono stati recentemente ristampati.

Amici lettori, l’inverno si avvicina, avete tanti consigli per la lettura.