Intervista, Angelo Deiana “Confassociazioni, una grande community di business e di rappresentanza che guarda al futuro”

Intervista esclusiva ad Angelo Deiana “Confassociazioni, una grande community di business e di rappresentanza che guarda al futuro” |

di Dario Tiengo – Angelo Deiana, con una importante carriera nel campo delle Associazioni professionali, del settore banche e finanza, è fondatore e presidente di CONFASSOCIAZIONI, la Confederazione delle Associazioni Professionali riconosciute ufficialmente con la legge 4/2013. Proprio nel 2013 nasce Confassociazioni, che oggi raccoglie 275 Associazioni professionali in rappresentanza di oltre 460mila iscritti (che ne fanno la più grande rete professionale italiana). Ma gli iscritti non sono solo professionisti. Ci sono anche 122mila imprese medio-piccole che hanno scelto la Confederazione.

Deiana ha seguito tutta l’evoluzione delle associazioni professionali. Prima, per 10 anni, come presidente del Comitato scientifico del Colap, il Cooordinamento delle associazioni che ha svolto un ruolo determinante per l’approvazione della legge 4/2013. Poi fondando, appunto, Confassociazioni. Perché “bisognava fare un salto di qualità. Doveva finire un approccio rivendicativo per prediligere quello collaborativo” afferma Deiana e qui spiega le ragioni e le caratteristiche di Confassociazioni.

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Qual è il risultato più grande che ritiene di aver raggiunto in questi anni di attività a difesa delle professioni e delle partite iva?

Per quanto riguarda gli associati, sicuramente la diminuzione di due punti dell’aliquota della gestione separata Inps. E’ un obiettivo importante che ci eravamo prefissati fin dall’inizio. Il tema della previdenza è strategico.

E in futuro qual è il prossimo traguardo?

Un tema strategico che ancora potrà portare ulteriori sviluppi è  che finalmente si faccia rappresentanza for profit. Ad esempio le università americane hanno un modello che si chiama “for profit education”. Attorno a un nucleo di idee e di professionalità girano fondi, banche, imprenditori e tutti insieme fanno un lavoro da una parte di sviluppo e di ricerca, dall’altra di messa a business di idee e di soluzioni. Confassociazioni in realtà si sta sviluppando non solo facendo rappresentanza ma anche come community di business. Questa è la cosa più interessante che sta emergendo  e che sta portando nuovi sviluppi. Si iscrivono non soltanto le associazioni, ma le singole imprese e i singoli professionisti. Oggi cominciano ad iscriversi anche le grandi imprese. L’altro giorno si è iscritto il Consorzio Saturno che ha costruito tutta l’alta velocità in Italia.

Perché ha scelto di iscriversi?

Perché noi siamo una grande community di business, siamo come un grande social network che fa business oltre che rappresentanza.

Quindi ci sono anche dei facilitatori di investimenti e per il credito?

Sì non tanto del credito, ma del business in assoluto. Le persone ci conoscono e ci apprezzano. Noi facciamo un lavoro di affinity management tra le persone riferito alla nostra community.

Chi investe nella rete un pezzo del suo tempo e della sua disponibilità economica, sa che quello che gli ritorna è sicuramente un vantaggio, è più di quello che ha investito. Questo aggiunto alla rappresentanza in senso stretto quando è necessario.

In pratica?

La previdenza, l’aliquota, la fiscalità, l’innovazione, cose che chiaramente intercettano tutte le nostre protezioni, e quindi lì facciamo rappresentanza in senso stretto. Altre volte, siccome produciamo idee – perché da noi ci sono i manager, il sistema bancario finanziario, l’immobiliare, il digitale e i servizi all’impresa, proponiamo una serie di soluzioni pragmatiche che suggeriamo. Governo, istituzioni, partiti, destra, sinistra, alto, basso è esattamente la stessa cosa, noi siamo trasversali – perché trattiamo di idee e cose da fare.

Ma perché un’impresa si associa a Confassociazioni?

Perché la 4/2013, questa grande novità, è una legge che ragiona su una serie di professioni che prima non esistevano dal punto di vista istituzionale. La vera novità è che all’articolo 1 comma 5 dice che una professione può essere volta a qualsiasi forma organizzativa e quindi come lavoratore dipendente, autonomo o libero professionista, come imprenditore o per esempio come socio di una cooperativa. Oppure imprese che fanno produzione come le agenzie di pubblicità.

Comunque continuano ad aderire anche Associazioni?

Siamo in continua crescita. In questi giorni hanno aderito 14 associazioni componenti la Fidac, tutte le professioni del sistema cineaudiovisivo. Anche questo è la dimostrazione di come si possa coniugare da una parte la moltiplicazione dell’opportunità per tutti, dall’altra quel sistema di rappresentanza su cui la massa critica è comunque importante. Perché se tu rappresenti “due gatti” non ti considerano.

Avete avanzato proposte ultimamente?

In questi giorni ho fatto un bilancio di fine anno 2016 e, se da un lato ho valorizzato la battaglia vinta sulle aliquote, dall’altro ho indicato un paio di pecche importanti del jobs act del lavoro autonomo.

Quali sono?

Negli articoli 5 e 6 c’è il fascicolo del fabbricato che è una tassa occulta. Il fascicolo del fabbricato non ti risolve i problemi del terremoto. Per tutte le nostre case, 8125 comuni (di cui 7mila e passa piccoli) che vuoi che gli faccia il fascicolo del fabbricato? È solo un favore alle professioni tecniche. E poi la devoluzione alle professioni ordinistiche di funzioni pubbliche è gravissima e sa perché? Non per quello che dicono tutti. Prima di tutto, perché introduce un ulteriore elemento di diseguaglianza.

In che senso e verso chi?

Perché alle professioni ordinistiche sì e alle altre no? Che differenza c’è? Tra un manager o un bancario che differenza c’è rispetto a un geometra  o un perito industriale? La seconda cosa è che sotto c’è il trucco. È il gioco delle tre carte, perché con la direttiva 55/2013 è in corso quello che si chiama, tecnicamente, esercizio di trasparenza – cioè un lavoro congiunto tra presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Ue –  che deve verificare entro il 2018  la sussistenza della necessità di una regolamentazione restrittiva rispetto agli effettivi bisogni di mercato. Cioè a una regolamentazione lasciata al mercato. E lì una serie di professioni, diciamo così, che non hanno più ragione di essere, rischiano di perdere la regolamentazione e, dunque, finiscono per perdere anche organi, ordini, collegi nazionali, territoriali. Affidare loro funzioni pubblicistiche è solo un piccolo trucco per dare ancora un senso a quelle professioni quando poi c’è una delega all’articolo 5 che è totale al governo, cioè non c’è il principio. Quali sono le funzioni da delegare? Non si sa. Io non voglio esagerare e sono in ottimi rapporti anche con le professioni ordinistiche, però quello è chiaramente un ordinamento corporativo.

Cosa pensa delle professioni ordinistiche e della necessità degli ordini?

Sulla necessità degli ordini ho scritto tanti libri di cui uno intitolato “Il capitalismo intellettuale” (2007), relativo la teoria economica della regolamentazione delle prestazioni intellettuali. Al di là di questa battuta, penso che il principio di autorità che sottende la regolamentazione ordinistica – cioè qualcuno che di autorità ti fa entrare in un recinto – possa in questo momento esser lasciato solo a poche funzioni. Tutti noi abbiamo in mente gli ingegneri, ma in Francia (che è la patria della Cassazione e della codificazione post-napoleonica) gli ingegneri non sono una professione regolamentata.

Come li regolamentano?

Con le assicurazioni. Se sei bravo ti assicuro, se non lo sei non ti assicuro e se non sei assicurato non lavori. La soluzione ordinistica è una sovrastruttura novecentesca che va rispettata – come tutte le sovrastrutture che hanno una tradizione – ma che va altamente ripensata.

Ritornando a Confassociazioni, come siete strutturati?

Siamo molto agili. Avendo scelto di essere un soggetto di terzo livello, aggreghiamo singoli professionisti, singole imprese, singole associazioni, e associazioni di associazioni. Abbiamo un ufficio di presidenza molto “light” fatto da 5/6 persone, con un grande utilizzo delle tecnologie digitali. Abbiamo un’assemblea che si chiama “Conferenza dei presidenti” a cui partecipano tutti i presidenti eletti nelle nostre associazioni e un loro delegato. Un organo più ampio, dove approviamo i grandi progetti. Dal 17 gennaio ad esempio lanceremo tre o quattro grandi progetti  e quelli passano dalla Conferenza dei Presidenti. Poi abbiamo una struttura organizzativa che è fatta da 4 sedi, due a Roma, una operativa e una di rappresentanza, una a Milano e una a Bruxelles.

Ricevete finanziamenti dall’Europa e dall’Italia?

No. Non prendiamo finanziamenti e, fra l’altro siamo a contributo volontario, quindi da 1 euro in su. Abbiamo soggetti che ci danno 5mila euro e altri 1 euro e noi trattiamo allo stesso modo gli uni e gli altri. Le spese organizzative le paghiamo con la nostra capacità di fare rete e di intercettare convenzioni di grandi aziende che, da una parte, danno vantaggi alle nostre associazioni e associati e dall’altra per allacciarsi a questa rete devono pagare un minimo di contributo in termini organizzativi. Ma sono sempre contributi molto piccoli.  Non vogliamo avere padroni.

Nemmeno pubblici?

No niente finanziamenti pubblici.

Qual è l’obiettivo più importante per Confassociazioni per il 2017?

L’obiettivo per il 2017 è quello di costruire un percorso di formazione della nostra classe dirigente. È aperto a tutti quelli che vorranno partecipare e si chiamerà “Accademia della politica e della rappresentanza 4.0“. Siamo convinti che il rilancio di questo Paese debba passare da un lato da professioni verticali come le nostre e dall’altro da una formazione trasversale che consenta a tutti quanti di capire le istituzioni, la rappresentanza, i contratti, la politica, e di interagire con questi in maniera competente.

Quanto ascolto avete dalla politica sui temi che rappresentate?

Diciamo che il rapporto è buono. C’è dialogo con tutte le forze politiche. Poi, ovviamente, ci sono recettori più sensibili e altri meno, anche solo per mancata conoscenza. Sul tema della formazione, secondo me, la politica non è sensibile ed è per questo che ci deve pensare qualcun altro.

Per finire, le partite iva da sempre sono messe in un angolo dalla politica. Cosa ne pensa?

Da questo punto di vista il governo Renzi ha fatto un piccolo sforzo ammettendo di avere sbagliato e un grande sforzo nel patto di stabilità. Due punti in meno sono 600milioni in meno. Sa qual è il problema? È che nessuno ha ancora capito che il tema non è più soltanto quello delle partite iva.

In che senso?

Andare a identificare un professionista dalla sua categoria organizzativa di lavoro è una cosa che poteva andare bene fino a qualche tempo fa. Adesso uno entra a partita iva, poi diventa a tempo determinato, poi lo assumono a tempo indeterminato, poi fa carriera e diventa quadro, poi dirigente e l’azienda va in crisi e quindi esce e comincia a fare il consulente. Poi si fa la sua azienda, una società di consulenza e poi, magari, attraverso questa viene riassunto come manager. Ho fatto un esempio a salire, ma potrebbe essere anche a scendere. E allora il tema non è più quello dell’unica categoria organizzativa ma quello di considerare il professionista  come una sorta di capitalista intellettuale, oppure imprenditore della conoscenza. Ha notato che fino a un po’ di tempo fa andavano di moda i lavoratori della conoscenza? Ora non ci sono più, sono spariti perché in realtà la connotazione del lavoro della conoscenza è più “imprenditoriale”. Hai il tuo capitale intellettuale e lo metti a disposizione della forma organizzativa che in quel momento ti sembra più utile.

Quindi anche le partite iva devono cambiare mentalità?

Certo, non ho dubbi in proposito.

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Angelo Deiana, Presidente di CONFASSOCIAZIONI, Confederazione Associazioni Professionali) e di ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers),Presidente onorario di ATEMA (Associazione per il Temporary Management),è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi professionali in Italia. Principale ideatore del sistema di regolamentazione duale sulla riforma delle professioni intellettuali, è membro dell’Intelligence Unit Global Executive del periodico “Economist” e autore di numerose pubblicazioni in campo economico/finanziario. Fra le sue ultime opere, “Il capitalismo intellettuale”, Sperling & Kupfer Editori, “Il futuro delle associazioni professionali”, “Come fare soldi nei periodi di crisi”, “Il private insurance in pratica”, “Associazioni Professionali 2.0”, tutti pubblicati con il Gruppo 24 Ore.