‘Le memorie di un fanciullo’: un bellissimo avvio per il 48° Festival di Borgio Verezzi

di Laura Sergi – Prolungati applausi al teatro Gassman la sera del 2 luglio Le memorie di un fanciullo 1per l’Anteprima nazionale al quarantottesimo Festival di Borgio Verezzi: ‘Le memorie di un fanciullo’, frammenti scelti dal romanzo ‘L’isola di Arturo’ di Elsa Morante, ha visto unico attore sul palco Luca Terracciano, sotto la regia di Maximilian Nisi.

Convince appieno questo monologo dal forte impatto emotivo: Terracciano-Arturo (foto) racconta di quando venne allevato dal garzone Silvestro a latte di capra e sorride. Ma poi non sorride più, perché deve narrare di quanto gli siano mancate le carezze materne, visto che la genitrice è morta di parto (un po’ come l’avesse ammazzata lui, dice). Il padre nell’isola di Procida fa solo brevi soste, e lui arriva a idealizzare la figura di quest’uomo che viaggia sempre, e sicuramente vive bellissime avventure. Così, ogni volta che fa ritorno all’isola, Arturo cerca senza successo di ottenere da lui un poco di considerazione, o anche solo un unico sguardo di stima. Una certezza, però, Arturo l’ha: un giorno lo accompagnerà, e la sua vita sarà un turbine di emozioni in giro per il mondo!

Poi, la doccia fredda: il padre torna con una nuova sposa. Da lontano, lui li vede scendere dal traghetto e li giudica: com’è goffa lei! E… no, lui non ne è innamorato.

Advertisements

Lei è ‘Nunziata/’Nunziatella, perché lui si rifiuta di chiamarla ‘mamma’. D’altronde, ha solo un anno e due mesi più di lui, che non ha ancora compiuto 15 anni. Un po’ di curiosità c’è, per quella nuova figura che entra d’improvviso nelle loro vite, ma dura poco: Arturo si nasconde sotto una coperta per non udire, per non sentire alcun rumore che riferisca dell’intimità del padre con la matrigna nella prima notte di nozze, una notte trascorsa con un ubriaco, perché il genitore è incapace di dimostrare amore, e questa figura femminile, proprio perché troppo debole, viene disprezzata anche dal figlio.

Il vecchio divano, l’elemento scenico più ingombrante sulla scena, diventa ora via via il letto del ragazzo, poi il letto condiviso con quella matrigna maggiormente derisa perché ha paura del buio e gli chiede di dormire con lui (bellissimo che sia solamente lo spostamento di un cuscino a simboleggiare due innocui giovani che si assopiscono insieme). Però poi arrivano anche le doglie per un fratellastro, una nuova vita che chiede prepotente di poter vivere con loro, e il giovane Arturo deve anche subire l’onta che questa volta la madre non morirà di parto! Ad aiutarla, intanto, ha chiamato una mammana…

Terracciano colpisce con forza i tasti di una macchina per scrivere mentre racconta (unico elemento rosso fiammante in mezzo a tutti gli altri oggetti polverosi che rimandano al passato), e poi colpisce ancora con rabbia, perché deve raccontare di quella volta che il padre tornò, ma sempre più incupito, sempre più invecchiato, e con lo sguardo perso. E di quella volta ancora che mise piede sull’isola, ma appena lo vide andargli incontro gli disse di aspettarlo a casa, e lui rimase in attesa che due guardie trascinassero verso quel carcere tristemente famoso un nuovo prigioniero. Non serviva molto ad Arturo per capire quale fosse il legame che li legasse, anche perché quello fu il periodo più lungo che il padre trascorse in casa. Usciva solo ad un orario preciso, si recava nei pressi del Castello, e cantava (male) una canzone, sperando inutilmente in una finestrella che si aprisse. Cambiano i sentimenti di Arturo per questo padre così umiliato e rifiutato, cambieranno ancora di più quando conoscerà la persona in questione: un uomo giovane e rozzo, che finge di corrispondere i sentimenti del padre unicamente per denaro!

Ad una fanciullezza infangata, Arturo risponde diventando uomo: ora capisce che era amore quello che provava per ‘Nunziatella, ma di fronte al rifiuto di lei sa cosa dovrà fare: andarsene. No, non accompagnerà il padre l’ultima volta al traghetto per un nuovo viaggio: sparirà per sempre da quell’isola che appartiene alla ‘notte della vita’.

Impossibile riuscire a descrivere appieno quanto sia stato bravo Terracciano nelle sue trasformazioni in questo o quel personaggio, sapientemente utilizzando quei pochi oggetti (scene e costumi di Anna Varaldo) che costituivano l’ambientazione caotica allestita (a riassunto della sua stessa vita), ma ogni istante collimava perfettamente con i continui cambi di luminosità sul palco di Michele Abrate, e con le musiche originali di Stefano De Meo. Un successo davvero meritato e un bell’avvio per il Festival di Verezzi 2014.