Sottoculture che resistono: il Northern soul

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di Alfredo Sgarlato – Dagli anni cinquanta in poi la storia della musica si intreccia inesorabilmente con quella della società e delle culture giovanili. Molti movimenti culturali si sviluppano a partire da scene musicali, spesso da un genere ben definito. Si tratta spesso di “controculture”, come quella hippie o quella punk, che propongono un rifiuto radicale del sistema, salvo poi esserne fagocitate e diventare mode innocue e fini a sé stesse, vedi la differenza enorme che esiste tra il punk anarchico e nichilista, e spesso geniale musicalmente, di Sex Pistols, Clash o Dead Kennedies, e quello annacquato che passava MTV negli anni novanta e zero.

Altri movimenti si pongono come “sottoculture”: non hanno una lettura politica, benché spesso si sviluppino in ambienti operai o studenteschi, ma solo la necessità di riconoscersi in un mondo estraneo alla maggioranza silenziosa. È il caso di quel genere che viene chiamato “northern soul”. La nascita del nome è casuale: si tratta da musica americana, ma il culto nasce in alcuni locali dell’Inghilterra del nord, come il Casino a Wigan (vicino Manchester) o il Torch di Stoke on Trent, per cui i negozi di dischi WiganCasinoBadgelondinesi cominciarono a chiamarlo così.

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In questi locali, dalla fine degli anni ’60 in poi, si ballavano dischi di soul music, scelti tra quelli più ritmati. I dj si sfidavano a chi passava i dischi più rari, per cui oscuri singoli come “The snake” di Al Wilson, o “Tainted love” di Gloria Jones o “Nobody but me” degli Human beinz (questa però la conoscete: accompagna una scena clou di “Kill Bill vol 1”), che al 99% dell’umanità non dicono nulla, tra i fans del northern soul sono tra i dischi della vita. Il pubblico del northern soul era inizialmente quello dei “mods”, contrazione di moderns, ragazzi di origine proletaria o piccolo borghese la cui rivolta nei confronti della generazione al potere era di tipo estetico: vestire con eleganza, avere una lambretta, e ascoltare musica nera in un paese razzista.

Il northern soul si diffonde molto in Inghilterra e ad inizio anni ’70 ha un notevole successo commerciale. I dischi, rigorosamente a 45 giri, entrano in tutte le case, e tra i ragazzi cresciuti ascoltando northern soul ce ne sono molti che diventeranno famosi suonando musica totalmente diversa, come Peter Gabriel, Jim Kerr dei Simple Minds, Ian Curtis dei Joy Division, Paul Weller, Marc Almond che coi Soft Cell incide cover di “Tainted love” e “What”. Poi con gli anni ’70 il soul evolve in generi più semplici e commerciali, il “Sound of Philadelphia” e quindi la discomusic, il glam e poi il punk e la new wave conquisteranno i giovani inglesi. Ma è solo un breve assopirsi perché con la metà degli anni ’80 il northern soul e mod revival ripartono alla grande.

ChessNorthernSoulJusNoi italiani, compreso chi scrive, scopriamo il northern soul dopo il 1986, quando il mondo del rock comincia a non esprimere più nulla di particolarmente nuovo, viene la voglia di riscoprire il mare magno del passato e etichette come la Kent records iniziano a ristampare compilation di “rare grooves”. Il verbo del soul si diffonde tra i ragazzi stanchi del nichilismo dark, nei locali e alle feste tornano minigonne e capelli a caschetto e si balla al ritmo di personaggi che hanno inciso un solo 45 prima di sparire, ma anche dei classici della Motown, Supremes su tutti. È una passione trasversale, alle feste mod si vedono ragazzi provenienti da tutte le scene e le bande (tranne i metallari, all’epoca veramente un mondo a sé). Oggi il northern soul continua ad essere amato, ascoltato e ballato in tutta Europa, in Italia Milano, Firenze e Rimini i centri nevralgici. Non per niente il motto dei fans è “Keep the faith”, mantieni la fede.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato