di Alfredo Sgarlato – Dopo un lungo lavoro come organizzatori di spettacoli, la compagnia Kronoteatro di Albenga si esibisce finalmente in una sala nel centro della propria città con “Orfani, la nostra casa”, prima parte della trilogia scritta dalla romana Fiammetta Carena, che tanto successo di pubblico e critica sta avendo in tutta Italia.
La rappresentazione si tiene nelle Opere Parrocchiali del Sacro Cuore, gentilmente concessa stante la non agibilità di altre sale previste. Il pavimento è coperto di torba mentre gli spettatori circondano la scena. Un signore molto elegante (un dittatore? Dio?), interpretato dal regista Maurizio Sguotti riceve cinque ragazzi, in ordine alfabetico Alessandro Bacher, Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti. Non hanno nome, non ricordano la propria storia, se non per brevi flash. Il signore elegante li mette alla prova, li guarda sornione, fuma.
I ragazzi si abbandonano a giochi, lotte, perdendo il controllo degli impulsi, in un’atmosfera tra “Il Signore delle mosche” e “Full metal racket”. Un ragazzo assume un ruolo femminile, diventando così vittima designata. Un altro prende quello del maschio alpha, come in un branco. Gli altri tre assumono ruolo intermedi nella gerarchia, di volta in volta vittime o carnefici. In un splendido finale orwelliano diventeranno perfetti sudditi, soldati in divisa, ricevendo un nome fasullo.
Un lavoro forte, complesso, che coinvolge fortemente lo spettatore, lasciandolo però ragionare su cosa sta osservando. Non ci sono quasi dialoghi, tutto è lasciato agli sguardi e alla fisicità degli interpreti, rendendo così ancora più pregnante la prova degli attori. Tra mito platonico e distopia illuminista siamo proiettati in un mondo desolato, che essendo privo di figure femminili e materne può solo essere governato dalla paura, e quindi dalla ricerca di una verità preconfezionata. È uno spazio chiuso, dove non esiste l’Altro da sé, e quindi non esistono bellezza e gentilezza. Un lavoro molto bello e potente, che merita il successo che sta ricevendo. Gli attori, ripetiamo, sono bravissimi nel porgere un testo dai dialoghi scarni e dall’interpretazione quasi totalmente fisica, che, ci dicono, pur lasciando spazi di improvvisazione, è rigorosamente scritta.
È un lavoro non rassicurante, certo, ma nemmeno dalla durezza eccessiva per lo spettatore. La natura della performance richiede una sala piccola e perciò le due serate sono andate subito esaurite lasciando fuori alcuni ritardatari. Quindi speriamo in altre repliche, seguite ovviamente dagli altri due lavori dell’autrice: “Pater familias” e “Hi mum, frutto del ventre tuo”. Ovviamente in una sala all’altezza della bravura di Kronoteatro.