Retromania sciovinista: la riscoperta della new wave italiana

di Alfredo Sgarlato – Oltre che sulla splendida rivista che state leggendo io scrivo su un’altra rivista di argomento musicale. Recentemente mi ha colpito molto il fatto che gli articoli che ricevono più “mi piace” sono quelli dedicati alle ristampe della new wave italiana. Per chi non è un fanatico di musiche di nicchia andiamo a spiegare cos’è la new wave. Fu chiamato così un filone musicale nato nel 1978 circa, Devo, Talking Heads, Cure, Joy Division, Simple Minds i nomi tutt’ora più noti, che si poneva come netta rottura con la generazione precedente; musica minimale e, sentita all’epoca, molto anticommerciale. Fu l’ultimo sottogenere rock ad essere orientato verso il futuro e non un revival degli stili precedenti.

In Italia arrivò piuttosto in ritardo e inizialmente eravamo in pochissimi ad ascoltarla. Farlo però ci faceva sentire molto dandy, aristocratici e rivoluzionari contemporaneamente. Ci volle la metà degli anni ’80 perché una new wave italiana si imponesse, sebbene alcuni gruppi fossero nati da tempo. La new wave italiana per eccellenza sono Litfiba, Diaframma e CCCP. I Litfiba degli inizi, quando non erano ancora tamarri e ribelli ma decadenti e sofisticati. I CCCP furono un grande equivoco. Il loro misto di punk filosovietico e musica melodica romagnola, dopo lo sconcerto iniziale, fu adottato da noi giovani che rifiutavamo la Milano da bere e la nascente egemonia culturale mediaset, credendo che i CCCP fossero ironici come noi. Invece si prendevano sul serio e, leggendo certe interviste in cui Ferretti spiega il suo comunismo come argine contro il meglio e non il peggio della modernità, diventa chiara la trasformazione di Giovanni Lindo dall’intelligente carismatico dell’epoca nel buffone farneticante di oggi.

I Diaframma sono dei tre i meno noti e i grandissimi. Iniziano con un dark dai testi ermetici valido anche se molto debitore ai fratelli inglesi, col secondo e il terzo disco passano ad un rock più accessibile, i testi del leader Federico Fiumani diventano più comprensibili, ma non perdono di qualità poetica. Quindi Fiumani, chitarrista, autore e leader dispotico, licenzia il cantante Sassolini e comincia a cantare lui. Non è che sia proprio portato, ma almeno i primi tre dischi che pubblica sono molto belli. Diaframma sono ancora in circolazione, dal vivo danno spettacolo e che Fiumani, uno che ha scritto una canzone come “Io amo lei”, che ti fa venire voglia di innamorarti per poterla dedicare a qualcuna, non sia considerato il maggior poeta italiano vivente è una vergogna. Moltissimi gruppi fiorirono accanto a loro, mille fiori che vissero solo una stagione.

Validi i Neon, i Denovo di Mario Venuti e Luca Madonia, i Pankow, i Confusional Quartet, gli Underground Life. Nel calderone entravano gruppi ottimi ma un po’ fuori tema come gli emiliani Not Moving o i Violet Eves, che non avevano nulla da invidiare agli americani. Grazie ad una miriade di ristampe, anche di etichette straniere, ritornano anche gruppi che incisero solo un singolo, come i MODO e gli Jeunesse d’Ivoire di “A gift of tears”(che bel nome e che bel titolo!). Musica molto esterofila, che non riconosceva padri se non in qualche outsider (Flavio Giurato, Faust’O, il Dalla di “Com’è profondo il mare”).

Ma fu vera gloria? Devo ammettere che risentendo alcuni dei nomi citati, anche quelli che adoravo, superata la lacrimuccia data dall’ ”avevo vent’anni..” questi gruppi mi sembrano terribilmente ingenui. Perché piacciono ai ventenni di oggi ancora più che a quelli di ieri? Sarà quel fenomeno che i critici angloamericani hanno chiamato retromania o “hauntology”, la nostalgia di epoche che non abbiamo vissuto. Sarà una forma postmoderna di patriottismo, dato che questi gruppi erano più noti all’estero che da noi e sono ristampati spesso da etichette francesi e tedesche. Sarà oppure che i sottogeneri del rock più intellettualoidi e melodici, il progressive negli anni ’70, la new wave negli ’80, furono quelli più apprezzati dai musicisti nostrani che esibivano nei testi reminiscenze liceali (notare che i fans dei due generi tra loro si odiavano cordialmente, per la passione tutta italiana per i derby. Non c’era motivazione politica, i due generi erano trasversali).

I primi anni ’80 in Italia non erano poi così stupidi: c’era molta musica, i nuovi esponenti della letteratura (Benni, Tondelli), del teatro (Falso Movimento, Magazzini Criminali, Teatro dell’Elfo, Giovanotti Mondani Meccanici), del fumetto (Pazienza, Manara, Mattioli, Scozzari), della pittura (la Transavanguardia), le riviste (Il Male, Frigidaire), l’esplosione della moda. Sembrava un’alba e invece era un tramonto.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato

5 Commenti

  1. BELIN! MI inchino avanti a cotanta considerazione per un genere che non ho mai nemmeno lontanamente immaginato che potesse tramandare qualsiasi ricordo. Devo riconoscere di aver sempre rifuggito questa musica come la peste. Anzi la considero pure un po’ opera dei demoni….

  2. Mi basta una nota dei Cure per ripiombare in quell’atmosfera avvolgente, io la trovo tuttora molto chic! E il concerto dei primi Litfiba, a dimensione ancora ridotta, che ero riuscita ad arrivare sotto il palco ……….! Scivolavo dolcemente dall’essere frikettona a dark………………….bei tempi

  3. …BELIN che musica! Ma ci stanno anche questi fenomeni di nicchia. Oso dire che poco è sppravvisuto agli ani 80 e tra questo neppure i gruppi che si citano nell’articolo.
    E sopravvissuto invece tutto un filone stra-amato dai giovnai di allora come il funk, la dance commerciale di qualità dove i suoni provenivano ancora dall’opera dell’uomo con musicisti di calibro indiscutibile e i migliori cantautori italiani.
    Non si vede altro.

  4. Io credo che piacciano perché l’ingenuità è sintomo di passione e la musica attuale sovraprodotta e iperfinta finisca per sollecitare la ricerca di autenticità.

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