L’eterno ritorno ovvero l’eterno revival degli anni ’80

di Alfredo Sgarlato – Vado all’edicola a comprare la mia rivista preferita, che in copertina annuncia le novità discografiche del mese: Pere Ubu, Flaming Lips, Violent Femmes. Mi chiedo: siamo nel 2019 o nel 1989? Può essere possibile che questi siano effettivamente i migliori dischi usciti nel periodo. Come può essere che l’acquirente medio della rivista sia un cinquantenne nostalgico, i ragazzi si informano sul web. E guarda caso nella rivista c’è un articolo sulla nostalgia (o retromania, per dirla con Simon Reynolds, o retrotopia, per dirla con Zygmunt Baumann). Fin dagli anni ’70 il revival è un ottimo affare: ricordiamo il successo mondiale di “Happy days” e “Grease”, e non si può assolutamente dire che quelli fossero anni di crisi creativa, da cui la nostalgia era rifugio.

Da allora, ciclicamente, in ogni decennio si è lanciata la riscoperta di mode e correnti artistiche sulla breccia vent’anni prima, finché le cose non si fanno più confuse. È difficile parlare di revival degli anni ’80, perché gli anni ’80 non sono mai veramente finiti. Già è difficile definirli: in genere sono etichettati come l’epoca del disimpegno e della musica di plastica, vero solo in parte. In realtà le musiche che consideriamo tipiche degli anni ’80, punk e new wave, esplodono tra il ’77 e il ’79, e il pop elettronico deve tutto a Kraftwerk e Brian Eno, così come le musiche simbolo degli anni ’70, progressive, psichedelia, folk rock, nascono già a fine ’60, e quelle in genere considerate la bandiera degli anni ’90, grunge, “alternative” americano, rap, house, sono già pienamente esistenti a metà anni ’80. I decenni musicali non coincidono mai del tutto con quelli storici. E non solo quelli musicali: se guardiamo oggi un film hollywoodiano o orientale degli anni ’90 lo troviamo stilisticamente uguale a quelli del decennio precedente, spallone e capelli cotonati compresi.

Già a metà anni ’90 MTV e le major discografiche, dopo aver imposto metal e rap come generi mainstream, pensano che sia già il momento del revival, e propongono gruppi più in linea col sentire del decennio precedente, come le Elastica, o i Tindersticks, gli unici che riescono a scaldare i cuori e ad avere una carriera, mentre a livello di culto si diffono il post rock, che se vogliamo è l’evoluzione progressive della new wave, e il trip hop, che se vogliamo è la fase dark delle elettroniche afroamericane e anglogiamaicane. Con l’inizio del nuovo millennio appaiono gruppi che si rifanno apertamente agli ’80, come Interpol, National, Ladytron, e altri, tutti più o meno validi ma che non superano il livello di cult band, intersecandosi con altri fenomeni musicali come un grosso ritorno delle musiche acustiche, o al contrario con nuove sperimentazioni elettroniche. Intorno al 2008 appare il più assurdo dei sottogeneri musicali, l’ “hypnagogic sound”, una fusione del peggio degli anni ’80, con dischi registrati volutamente male a dare l’effetto di vecchie musicassette di genitori o fratelli maggiori ascoltate in sogno o in un lontano ricordo. La vera esplosione del revival ’80 avviene in questo decennio grazie soprattutto a cinema ( “Super 8”,“Ready Player one”) e serie tv (“Stranger Things”, “Halt and catch fire”), le vere costruttrici di immaginario del nostro tempo.

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Ma perché una tale enfasi sugli anni ’80? Probabilmente perché è l’epoca in cui la gran parte degli autori, degli sceneggiatori, dei programmisti, era bambino o ragazzo, quindi la loro personale età dell’oro, e la gran parte del pubblico non era ancora nata e può accettarli come età dell’oro. Lo furono davvero? Fu un periodo di transizione. I decenni precedenti sono stati quelli in cui si sognava di cambiare il mondo, e di poterlo fare tutti insieme. L’individualismo iperliberista thatcheriano (la più nefasta delle ideologie, la vera distruzione della civiltà occidentale) non si era ancora imposto, c’era ancora un ideale di rivolta, ma più giocoso, pensiamo alle molte tribù legate ai gusti musicali, meno gravato di ideologia. Certo, c’erano il timore della terza guerra mondiale, o del colpo di stato alla cilena (veri o falsi? Se falsi chi ce li inculcava bruci all’inferno), e poi quello ben più reale dell’aids, ma il tenore di vita era alto. Poi, come sempre nella storia, gli anni ’80 erano stupidi per chi era stupido, così come gli anni ’60 per chi lavorava in fabbrica non erano favolosi come per un musicista o un creativo alla moda. Chi era curioso ascoltava, leggeva, guardava, frequentava quello che poi sarebbe diventato di massa nei decenni successivi. Tutto sommato generi, decenni, revival, servono solo a fare ordine negli scaffali, o a riempire il tempo libero scrivendo o leggendo articoli come questo.

These New Puritans

P.S. Uno dei dischi più belli che ho sentito quest’anno, “Inside the rose” di These New Puritans, potrebbe essere uscito benissimo nel 1986.