La letteratura contemporanea e i taboo sociali

di Alfredo Sgarlato – Di recente ho letto un paio di libri che hanno colpito la mia attenzione. Sono due romanzi a carattere fantastico, genere che gode di una grande rinascita, come già scrivevo tempo fa. Si tratta di “Le prime quindici vite di Harry August”, di Claire North (NN editore) e di “Come fermare il tempo” di Matt Haig (e/o editore); non due capolavori ma due letture gradevoli, soprattutto il primo, con alcuni elementi in comune. Mi tocca spoilerare, come si dice in gergo, per farveli notare, ma non rivelerò troppo sulle trame. Nel primo si parla di un uomo che non muore mai, o meglio, muore ma rinasce ricordando tutte le vita precedenti; nel secondo di un uomo che forse morirà, ma invecchia a un ritmo estremamente lento, e a più di 400 anni dalla nascita è ancora un giovanotto. Entrambi avranno a che fare con organizzazioni di loro simili; entrambi avranno molta difficoltà nel trovare l’amore.

Come sempre la narrativa di genere è la più avanti nel trattare taboo e problematiche sociali dei tempi in cui è scritta: qui si parla di morte, vecchiaia, mancanza d’amore, somiglianza e differenza, tutte tematiche che oggi si tende a occultare o a esasperare. Morire, invecchiare, essere malato, (ma anche essere brutti, cosa che non so dire in quanto ai personaggi dei romanzi, oggi non è di moda descriverli) appaiono eventualità che per l’umanità di oggi sono proibite, motivi di discredito.

Eppure il tema fortissimo di fondo è che i due protagonisti sono due diversi: la loro diversità è quanto di più auspicabile per un essere umano, eppure li rende soli, perseguitati, sempre con un sentimento di minaccia accanto a sé, e con un loro simile pronto a tradirli. La specie umana non è in grado di accettare le diversità, se non con un atteggiamento paternalistico, è abituata storicamente e forse biologicamente a fare parte di piccoli gruppi. La Bibbia dice: ama il prossimo tuo come te stesso, e infatti l’uomo ama chi gli è vicino, chi sta dall’altra parte del fiume è già straniero. Chiamarlo semplicemente razzismo non è del tutto corretto. Non che io pensi che non esista, anzi, ma mi sembra una parte di un fenomeno più ampio, di un trionfo del disprezzo per il diverso, in tutte le sue forme. Lo straniero, il troppo ricco e il troppo povero, il troppo bello e il troppo brutto, chi pensa diversamente e chi vive diversamente, il gay, il laureato, il folle. Del resto, il concetto di normalità è legato al concetto di media, medietà, mediocrità. Lo psicoanalista Christopher Bollas parla di “personalità normotiche”, il filosofo Peter Sloterdjik di “appiattimento al reale”, per questa società in cui normalità, medietà, mediocrità sono motivi di successo. E la politica alimenta il mito di un popolo coeso, senza elementi impuri, che in realtà vuole massa amorfa e acefala. Buffo come spesso siano i più strenui anticomunisti, nemici dell’uguaglianza, ad aderire a questa distopia disumanizzante.

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… le malattie mortali sono ammorbidite da parafrasi, la morte viene allontanata…

Vediamo come le malattie mortali sono ammorbidite da parafrasi, la morte viene allontanata con l’accanimento terapeutico (e la cialtroneria: caso recente è lo pseudoguru che promette 120 anni di vita), la vecchiaia, che poi sarebbe la normalità della specie umana, nascosta da orribili interventi chirurgici, talmente assurdi che fanno pensare a una psicosi; oppure pensiamo ai molti calciatori e artisti che non accettano il loro declino fisico o creativo e si trascinano in un interminabile cupo tramonto. Il giovanilismo è la nevrosi del nostro tempo, ma forse è sempre esistito.

E la loro diversità li rende privi di amore, il grande male del nostro tempo. Se all’epoca di Freud taboo e nevrosi erano principalmente di origine sessuale, oggi è la mancanza d’amore, ne parlo per esperienza diretta, a portare nello studio del terapeuta. Individui soli, ma ancora più che sentirsi soli è il sentirsi inadeguati o rifiutati il loro problema. In una società narcisista le ferite di origine narcisistica sono le più difficili da sanare.

Matt Haig

Quindi quella che una volta era bollata come letteratura da ombrellone o da stazione si rivela spesso la più adatta a narrare l’animo umano. D’altronde, se non fosse così, non saremmo ancora, dopo due secoli, a parlare di Frankenstein o Sherlock Holmes, autentici miti contemporanei. Dopo lo sdoganamento del noir abbiamo la grande rinascita del fantastico, del “weird”. E non per niente la letteratura fantastica è stata sempre quella più denigrata da religioni, dittature, populismi, poiché in grado di mostrare che si possono immaginare mondi diversi.