Savona / Napoli. L’Italia è agli ultimi posti in Europa per “interazione digitale” tra cittadini e PA: nel 2018 solo il 24% degli italiani dichiara aver interagito con la PA per via telematica, contro il 92% dei danesi, il 71% dei francesi, il 57% degli spagnoli. Il valore medio nell’Unione Europea è del 52%. Peggio di noi solo Bulgaria e Romania.
Ma quali sono le ragioni di questo ritardo? Lo rivela il nuovo rapporto Agi-Censis realizzato nell’ambito del programma pluriennale “Diario dell’Innovazione” della Fondazione per l’Innovazione COTEC, che indaga la reazione degli italiani di fronte ai processi innovativi. A presentarlo il segretario generale Censis Giorgio De Rita e il direttore Agi Riccardo Luna durante Transformers, la giornata che ha riunito per i “Digital Days” di Napoli i campioni italiani della trasformazione digitale del Paese. Presenti, tra gli altri, il Ministro per la Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, il direttore generale AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) Teresa Alvaro e il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.
Il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione migliora, ma non soddisfa ancora la maggior parte degli italiani. Critici i giudizi sulla transizione digitale della PA. Ma se si indaga sui singoli servizi si scopre una scarsa conoscenza dei processi in atto. E se si va ancora più a fondo si vede che la popolazione ha un livello di competenze digitali decisamente basso e che una quota significativa di italiani vive in un mondo completamente “analogico”. “La trasformazione digitale della PA è iniziata ed è possibile – commenta il direttore Agi Riccardo Luna – Se guardiamo agli ultimi cinque anni, i cambiamenti si vedono benissimo. E La nuova indagine sulla cultura dell’innovazione degli italiani, realizzata da AGI e dal Censis a due anni di distanza dalla precedente, li registra. Ma l’indagine registra anche una diffidenza degli italiani verso il nuovo che avanza: più che la curiosità, in molti vince la nostalgia. E non è un paradosso in un paese in cui l’indice di vecchiaia è cresciuto di 25 punti percentuali in 10 anni toccando il nuovo record storico. Per vincere questa resistenza quotidiana non potremo limitarci a digitalizzare i complicatissimi processi esistenti, trasferendo le scartoffie, le firme e i bolli della burocrazia sul web, ma dovremo cambiare tutto disegnando servizi e applicazioni facili e immediati. Come comprare qualcosa su Amazon”.
“Da oltre trent’anni, – ha spiegato il segretario generale del Censis Giorgio De Rita – l’Italia spende tanta energia e moltissimi soldi per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, più di qualsiasi altro Paese europeo. Abbiamo aperto, per primi, cantieri innovativi su qualsiasi terreno digitale: dai pagamenti alla fatturazione, dall’identità personale alla comunicazione certificata, dal deposito di atti giudiziari alle ricette mediche. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e questi dati rimarcano ancora una volta il gravissimo ritardo d’innovazione nelle piattaforme digitali pubbliche e nel funzionamento della burocrazia. L’errore, che inesorabilmente ripetiamo, è puntare tutto sull’ultimo passo dei processi amministrativi, il più visibile e spendibile sul fronte del consenso politico, e di rinunciare a ogni innovazione negli schemi organizzativi, nella progettazione dei servizi, nella necessità di far parlare tra loro applicazioni e banche dati, nel tradurre la complessità burocratica in interazioni semplici per imprese e cittadini. Gli italiani si aspettano meno siti e tessere di plastica e molta più intelligenza”.
Cittadini
e PA: un rapporto che migliora ma che ancora non soddisfa la maggior
parte dei cittadini.
Più
della metà della popolazione è tutt’ora convinta che il
funzionamento delle strutture pubbliche non possa essere ritenuto
soddisfacente. Confrontando tuttavia la recente rilevazione con
quella analoga risalente al 2017, si registra un parziale
miglioramento. La quota di coloro che ritengono che la PA funzioni
“molto male” si riduce dal 17,9% al 10,2%. Analogamente si riduce
la quota di coloro – la maggioranza – convinti che la PA funzioni
“piuttosto male” (da 52,1% a 50,8%). Simmetricamente, aumenta la
quota di chi si orienta su un giudizio moderatamente positivo
(“piuttosto bene”) che passa da 24,3% a 33,2%. Le valutazioni
improntate al maggior ottimismo (“molto bene”), rimangono del
tutto residuali (3,1%). Guardando i dati nel loro complesso si può
affermare che in soli 2 anni il perimetro dei giudizi negativi si è
ridotto dai 3/4 ai 2/3 degli italiani.
Le
attese di cambiamento convergono su una PA leggera e “poco
invasiva”. Gli
italiani che si augurano un sostanziale ridimensionamento della PA,
con una conseguente riduzione sia dei suoi costi che dell’impatto
negativo della ridondanza burocratica dei procedimenti sono oggi il
38,2%. Colpisce che i dipendenti pubblici siano tra i più favorevoli
all’opzione “ridimensionamento” (44,9% del totale). Una quota
analoga di cittadini auspicherebbero un totale ripensamento,
spostando l’attenzione dalle procedure interne alle reali esigenze
dell’utenza (38,2%). La terza opzione, ossia una riforma che consenta
al sistema pubblico di esercitare un reale traino sullo sviluppo del
Paese, risulta largamente minoritaria (23,6%).
Giudizi
ancora critici sulla transizione digitale della PA.
La
spinta degli ultimi anni verso servizi e procedure digitalizzate è
percepita solo in parte dalla popolazione. Complessivamente, più di
un italiano su cinque è insoddisfatto del cambiamento in atto. Gli
altri quattro ritengono che il processo di digitalizzazione sia
ancora troppo limitato nella sua diffusione e nella sua incisività.
Soltanto il 5,7% dei cittadini ritiene che questo processo sia già
maturo e che la semplificazione cercata stia effettivamente
avvenendo. Gli sforzi fatti sono ritenuti del tutto insufficienti per
l’8,1% della popolazione. Per il 15% circa dei cittadini i
cambiamenti avvenuti sono persino fonte di ulteriori difficoltà
complicando ulteriormente la vita di chi si trova a richiedere questi
servizi.
Scarsa
la conoscenza dei processi in atto.
La
percezione di un cambiamento ancora molto limitato è spiegabile,
almeno in parte, anche attraverso la mancanza di adeguata
informazione relativamente ai servizi digitali già attivati dalla PA
e del loro reale funzionamento. Soltanto il 9,2% si dichiara
completamente informato mentre nel 53,4% dei casi l’informazione è
carente o addirittura assente. Il 37,4% dei cittadini, pur
dichiarandosi sufficientemente informato, rileva nella persistente
difficoltà di accesso o di utilizzo dei servizi digitali il vero
problema che finisce per annullare i lati positivi di un’offerta
non più vincolata a sportelli e file infinite. Guardando ai singoli
servizi online offerti dalla PA, se un tasso di conoscenza elevato è
registrato dalla posta certificata (72,7%) e dalla fatturazione
elettronica (65,6%), un risultato negativo è segnato invece da
innovazioni come il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID),
conosciuto soltanto dal 41,8% degli italiani o il Fascicolo Sanitario
Elettronico (FSE) (32,2%).
Alto
il gap tra le attese di cambiamento e i risultati riscontrati.
Il
73,2 degli italiani si aspettava dalla digitalizzazione della PA un
ritorno in termini di semplificazione, ma soltanto il 30,8% del
campione ha dichiarato che grazie ai servizi online ha ottenuto un
reale vantaggio. Lo stacco è molto alto anche per quanto concerne la
velocità delle procedure: il 72,2% se l’aspettava, ma soltanto il
40,6% dichiara di averla riscontrata. Forte discrasia tra quanto
desiderato e quanto effettivamente ricevuto anche per quanto riguarda
la chiarezza delle informazioni e la trasparenza dei processi. La
mancanza di semplificazione delle procedure online rispetto a quelle
tradizionali è uno dei fattori cruciali della mancata diffusione dei
canali digitali. Utenti abituati ad interfacciarsi in maniera
semplice e veloce con le applicazioni digitali nel settore privato –
disegnate proprio per essere fruibili da tutti soprattutto attraverso
i dispositivi mobili – mal sopportano le procedure complesse, le
lungaggini e le complicazioni dei sistemi “pubblici” focalizzati
più sulla procedura e sulla correttezza amministrativa piuttosto che
sull’accesso al servizio e sulla user-friendliness.
Ma
non è tutta colpa della PA: l’interazione digitale non decolla
anche a causa dei tanti “retaggi analogici” del Paese.
Ancora
oggi il 16% delle famiglie italiane non dispone di una connessione
internet domestica. Nell’UE il dato medio è dell’11% ma siamo
ben lontani dai valori espressi da Paesi come l’Olanda (2%), il
Regno Unito (5%) e la Germania (6%). Più in generale si rileva una
quota elevata di popolazione che continua (e continuerà in larga
parte) a vivere in un mondo completamente “analogico”. Se è vero
che le persone con più di 18 anni che dichiarano di connettersi ad
internet tutti i giorni hanno raggiunto il 52,7% del totale e se è
vero che la quota di chi non è affatto un utente internet si è più
che dimezzata rispetto al 2001, sussiste tutt’oggi un 32,2% di
italiani che “non si connette mai”. Il confronto con i dati del
2008 mostra un netto miglioramento nella connettività per i giovani
e le classi d’età centrali, ma fra i più anziani la quota dei
“non digital” è altissima. Supera il 60% nella classe 65-74 anni
ed è vicina al 90% negli over 75. In termini assoluti le persone con
più di 65 anni che non utilizzano internet sono quasi 10 milioni
(quasi 4 milioni se si considerano esclusivamente i 65-74enni). Con
questi elementi di contesto appare difficile pensare ad una
transizione della PA verso servizi “full
digital”:
una quota consistente di cittadini, infatti, almeno per il prossimo
futuro, continueranno ad essere completamente disconnessi o comunque
in condizioni tali da non poter utilizzare la rete per rapportarsi
con la PA. Infine, esiste anche un problema di competenze digitali.
L’ultima rilevazione effettuata dall’Istat, a fronte di un 28,3%
di popolazione con competenze elevate e un ulteriore 35,1% con
competenze di base (ossia il minimo indispensabile per connettersi e
dialogare on line con la PA) segnala l’esistenza di un 33,3% della
popolazione con competenze “basse” e un ulteriore 3,3% con
competenze “nulle”.
L’interesse selettivo per le tecnologie digitali di nuova generazione. Le tecnologie digitali di nuova generazione, quelle che cominciano ad essere adottate nei processi produttivi più avanzati e che determineranno nuove frontiere nella vita quotidiana dei cittadini-consumatori non sono ancora note agli italiani: il termine Big Data significa qualcosa per il 25,8% degli intervistati e solo il 32,4% ha un’idea di cosa sia l’Internet of Things. In generale l’interesse dei cittadini per le innovazioni cresce là dove ne intravedono applicazioni in grado di migliorare la loro vita quotidiana. I nuovi dispositivi per la sicurezza urbana o per la sfera sanitaria sono attesi con impazienza da circa i ¾ dei cittadini. Decisamente minore (di poco superiore al 40%) l’interesse per le auto a guida autonoma, per gli assistenti domestici e la robotica. Si conferma, in sostanza, la diffidenza verso ciò che ha valenza sostitutiva del lavoro umano.