Andora, inaugura la mostra  “Palcoscenici irreali”

Andora. Piccoli palcoscenici della memoria dove gli oggetti, racchiusi sotto campane di vetro, rappresentano al visitatore un percorso a ritroso nel tempo tanto più lungo tanti più sono i dettagli che l’occhio riesce a scoprire. È un invito alla partecipazione, la mostra “Palcoscenici Irreali” che inaugura, domenica 12 agosto 2018,  alle ore 21.00 nel Museo Mineralogico Luciano Dabroi del Comune di Andora  che ospita le coinvolgenti opere dell’artista spagnolo Pablo Mesa Capella. L’allestimento è stato curato da Christine Enrile.

Le iridescenti sale del Museo Dabroi, accoglieranno, fino al 17 ottobre, le installazioni sotto vetro dell’artista che, nato a Malaga con un background nel campo teatrale e una passione per gli oggetti, «ha dato vita a opere che possiamo definire piccoli contenitori di memoria in cui gli attori sono oggetti di uso comune quali ritagli, stoffe, fotografie, cartoline che diventano narratori simbolici di storie. Oltre 20 microcosmi che porteranno lo spettatore ad abbandonare la staticità della sua condizione di osservatore dei movimenti altrui per diventare lui stesso partecipe, anche fisicamente, della ricerca del dettaglio che costituisce la composizione.»

«Come un gigante in un mondo piccolo, l’osservatore si avvicinerà alle campane di vetro di questi palcoscenici irreali cercando rimandi, inseguendo dettagli, scrutando particolari alla ricerca di un disegno complessivo. Racchiudere il mondo dentro una campana di vetro non vuol dire mettersi dalla parte di Dio, sentirsi dei creatori onnipotenti. Significa piuttosto concentrarsi sul dettaglio per leggere la bellezza del tutto.»

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La mostra, ad ingresso libero, sarà aperta fino al 17 ottobre. Fino al 9 settembre 2018, l’esposizione sarà aperta ogni sabato e domenica, ore 19.00 – 23.00. Successivamente dal 15 settembre 2018 sabato e domenica ore 15.00 – 19.00

«Le opere di Mesa Capella non intendono essere delle fotografie di una condizione o di una situazione; vogliono piuttosto essere il punto di partenza di una narrazione che si muove, in un continuo andirivieni, fra presente e passato. Fotografie d’epoca, oggetti, elementi vegetali, testi scritti si fondono in un gioco di rimandi in cui l’ironia sdrammatizza non soltanto la composizione e il messaggio, ma l’essenza stessa dell’arte. Non c’è nulla di monumentale nel lavoro di Mesa Capella, c’è anzi l’idea di riportare la grandezza della storia a un mondo fatto di cose piccole, a una soggettività di ricordi e alla stessa materialità di questi ricordi. Gli oggetti smettono così di essere inanimati e diventano i protagonisti di un racconto che essi stessi propongono.     Il ciclo delle campane di vetro è quindi il tentativo riuscito di afferrare la grandezza del passato e la complessità della vita scherzandoci sopra ma senza mai banalizzare, inducendo piuttosto nell’osservatore una curiosità che lo porta a riflettere, a pensare a se stesso seriamente ma senza prendersi troppo sul serio, a immaginare la propria esistenza come quella di una piccola entità, racchiusa anch’essa in una campana che vaga nella smisuratezza dell’universo.»