Intervista. Deiana: “entrare nella globalizzazione per capire il nuovo mondo. Cos’è, come ci cambia e cambierà la vita” (I)

A colloquio con Angelo Deiana ** (vedi in fondo) – di Dario Tiengo.


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Globalizzazione, un termine entrato nel linguaggio comune ma che, spesso, non è corredato da conoscenza adeguata. Si sente dire frequentemente, anche da politici, che dobbiamo affrontare la globalizzazione “nel bene e nel male”. Esiste e, quindi, non le si può sfuggire. Per non rimanere nei luoghi comuni servono chiarimenti, non crede?

Certo. Primo chiarimento. La globalizzazione non è una caratteristica di questo tempo. Esiste da quando esiste l’uomo e comporta sempre comportano una serie di conseguenze, positive e negative. Non dobbiamo dimenticare che la prima vera globalizzazione è quella in cui l’Homo Sapiens si è spostato dall’Africa e ha invaso e rivoluzionato il mondo dell’epoca, marginalizzando e facendo sparire l’Uomo di Neanderthal. Questo per dire che troviamo esempi di globalizzazione anche nella storia non recente. È una fase di globalizzazione l’espansione dell’Impero romano, così come la diffusione delle ferrovie negli Stati Uniti e in Europa nella seconda metà dell’Ottocento.

Insomma, abbiamo sempre cercato di espanderci e abbracciare il mondo?

L’uomo da sempre opera attraverso stadi progressivi di globalizzazione. Oggi c’è qualcosa di più, perché la globalizzazione, a differenza del passato, è anche tecnologica e riguarda le informazioni. Il “sistema a rete” di questa fase è sempre più ampio e permette di fornire dati e conoscenza alla velocità della luce. Ecco la grande innovazione di questa globalizzazione.

Però oggi si riparla di dazi, avanzano il protezionismo e le inclinazioni al nazionalismo. Semplice reazione?

Il tema del protezionismo è una conseguenza naturale rispetto ai processi invasivi. Probabilmente anche l’Uomo di Neanderthal, a suo tempo, avrà fatto protezionismo in qualche modo e si sarà difeso combattendo. Il rifiuto della globalizzazione dei nostri giorni è, in realtà, amplificato da motivi che vengono da lontano, da un periodo che potremmo definire di “globalizzazione della democrazia economica”.

Interessante, proviamo a raccontarlo?

È un periodo lungo che inizia dopo la Seconda Guerra Mondiale con l’avvento dell’imperialismo americano e sovietico e finisce con la caduta del Muro di Berlino. In quel periodo, sotto la cappa della guerra atomica, il mondo occidentale ha esportato il proprio modello capitalistico attraverso l’ascesa e l’intreccio di due triadi: quella formata da tecnologia, globalizzazione e finanza e quella formata da rappresentanza, democrazia e legalità. Le due triadi giravano in armonia e gli effetti si dispiegavano progressivamente nel mondo: la sempre maggiore tecnologia generava ulteriore globalizzazione (pensiamo all’avvento a livello globale di televisione e telefono) che aveva bisogno di sempre maggiore finanza. Più finanza voleva dire più tecnologia che, a sua volta, generava ancora più globalizzazione.

Per un periodo le due triadi sono andate in perfetta consonanza nei Paesi industrializzati e hanno progressivamente colonizzato anche i Paesi emergenti e, in modo sotterraneo, quelli del blocco sovietico. Gli effetti di tecnologia, finanza e globalizzazione generavano processi di apertura di altri Stati alla democrazia, cresceva il meccanismo della rappresentanza, aumentavano i livelli di legalità. Ogni tanto c’era qualche regressione, certo, pensiamo alla guerra in Vietnam o alla crisi petrolifera. In ogni caso è stata una specie di Golden Age sviluppatasi sotto il collante fortissimo di due paure. La paura del nemico russo e la paura delle armi atomiche che generava la necessità di stare tutti uniti dietro il muro della Nato e degli Stati Uniti, i paladini del mondo avanzato.

Poi la caduta del Muro…

Giusto. Un passaggio molto più profondo di quello che si pensa. Una caduta che ha fatto venir meno la paura, il collante che teneva in armonia le due triadi. Non essendoci più il collante della paura, la triade vincente ha iniziato a dispiegare la sua azione sinergica grazie all’espansione di Internet ma senza i bilanciamenti dell’altra triade. E’ diventata la “triade” trionfante, una sorta di “triangolo magico” nell’evoluzione delle società avanzate e di conseguenza di tutto il mondo. Con una caratteristica di fondo: questa triade è intrinsecamente orientata al risultato, spesso valutato in modo autorefenziale, cioè solamente da se stessa. Conta quello che si ottiene in concreto (lo scopo, il budget, la vendita, il lusso, la visibilità, la ricchezza) e, per raggiungere tale pragmatica concretezza, conta il massimo utilizzo delle potenzialità delle componenti. Per il resto non c’è spazio e nessuna possibilità.

E l’altra triade?

Specularmente, ha iniziato a declinare. Dopo la caduta del Muro, la partecipazione democratica è stata sempre minore nei Paesi avanzati per cui diminuiva di conseguenza la rappresentanza e veniva sempre meno la legalità intesa come coscienza collettiva delle regole: si pensi a Tangentopoli o alle leggi “ad personam”. Senza dimenticare poi che questa triade declinante ha sempre avuto una piattaforma valoriale esattamente contraria all’altra. Per essere vincenti nella seconda triade, non conta solo il raggiungimento dell’obiettivo in se stesso, quanto e soprattutto il modo con il quale si ottiene, e cioè il rispetto di valori fondanti che si frappongono al semplice rapporto causa-effetto.

Se ho capito bene, è questa la causa dell’andamento schizofrenico di questa fase di globalizzazione?

Ci sono altre concause, ma certamente questa è una delle più importanti. D’altra parte, l’economia della rete (Uber e Airbnb ce lo insegnano) abita, per definizione, il mondo, è il regno delle interdipendenze globali, e si muove a suo agio in un contesto di libero scambio, mal sopportando isolamenti anacronistici o sfasature cronologiche dovute alla lentezza con cui si evolvono i soggetti sociali tradizionali. Ma è chiaro, al tempo stesso, che la rilocalizzazione dei lavoratori o la polarizzazione della ricchezza sono fenomeni che provocano costi dolorosi non solo sul piano sociale. Pensare ad un’ipercapitalismo tecnologico indifferente all’impatto sui soggetti meno pronti o meno fortunati può provocare non solo gravissimi problemi di consenso, ma soprattutto forti ostacoli alla crescita stessa. Proprio quello che la prima triade non vuole…

Si può risollevare la triade declinante?

Forse, ma bisogna capire che siamo in un mondo nuovo, un mondo veloce, complesso e rischiosissimo perché dirompente, disruptive. L’automazione, l’immigrazione, gli ingegneri “made in India” e noi che ancora fatichiamo a dare istruzioni in inglese ai turisti in vacanza nelle nostre città. Quando uno ha figli un brivido corre lungo la schiena. Come sarà il mercato del lavoro in Italia e in Europa, magari tra 10 anni? Glielo racconta il World Economic Forum: il 65% dei bambini che iniziano ad andare a scuola in questi anni, quando termineranno il ciclo di studi, faranno un lavoro che ora non esiste.

Senza dimenticare la velocità con la quale sta avvenendo. Una grande innovazione perché le vecchie rivoluzioni erano lente, si sviluppavano in un arco temporale al di fuori della normale aspettativa di vita delle persone. Ecco il problema della seconda triade. Le piattaforme democratiche, valoriali e giuridiche, si evolvono in modo molto più lento della realtà della rete. Alcune si perdono, altre si trasformano, altre muoiono, spesso per motivi molto semplici.

Quali?

Ad esempio, perché la rappresentanza a livello globale non è quella che si può avere a livello locale. Nell’era della rete globale, il potere si distacca dalla politica. La politica ha un ambito strettamente locale e lì esercita la sua attività. Il potere in un ambito molto più ampio (come quello della rete e del sistema globale) si esercita in tutt’altro modo: nella circolazione dei capitali, nel dominio delle informazioni. Vuole un esempio concreto? Pensi alla metafora di Mafia Capitale sulla terra di mezzo: a livello globale è uguale. Esiste la terra di sopra, quella del potere delle reti, dei grandi network multinazionali delle telecom, delle grandi agenzie di sicurezza nazionale, di Putin, di Trump, piuttosto che di Apple o di Amazon. Poi c’è la terra di sotto, quella della politica locale, delle piccole reti di appartenenza che molto possono sul territorio ma niente contano nel processi globali, delle forze di difesa non tecnologiche siano esse l’esercito o le polizie municipali e così via.

Ecco perché la legalità diminuisce: i confini nazionali diventano solo un ambito di ordine pubblico dove poco si capisce chi controlla che cosa. Perché Apple va in Irlanda e mette lì la sua sede? Perché è un sistema più vantaggioso e sfugge ai confini fiscali del singolo territorio nazionale, dove pure produce un’attività economiche ad alto profitto. La stessa rappresentanza subisce questo fenomeno. Pensiamo alla UE: appartenere a qualcosa di più grande è molto più difficile in termini di identità e di legame con territori, usi, tradizioni. Con Schengen o con l’immigrazione, ad esempio, le identità si contaminano. E allora sia che si chiami Trump o Le Pen o impiegato del nord Italia – che si senta non più appartenente a un’identità certa e ben definita come la precedente – tende naturalmente alla reazione.

FINE PRIMA PARTE (la seconda e la terza parte verranno pubblicate nei prossimi giorni)

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** Angelo Deiana, Presidente di CONFASSOCIAZIONI (Confederazione Associazioni Professionali) e ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers),è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi finanziari e professionali in Italia. Manager di primari gruppi bancari nazionali e internazionali, docente universitario, è autore di numerose pubblicazioni in campo economico/finanziario, Fra le sue ultime opere, “La rivoluzione perfetta”, Mind Edizioni (2014),“Il capitalismo intellettuale, Sperling & Kupfer (2007),“Il futuro delle associazioni professionali” (2010),“Come fare soldi nei periodi di crisi” (2012),“Associazioni Professionali 2.0” (2013),tutti pubblicati con il Gruppo 24 Ore. Attualmente è Consigliere Delegato di Scudo Investimenti SGR.