Anniversari: PPP, un intellettuale antitaliano, un destino italianissimo

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di Alfredo Sgarlato – Il 2 novembre di quarant’anni fa moriva Pier Paolo Pasolini: nessun altro intellettuale italiano è così presente, nella sua assenza, nel dibattito mediatico, per quanto, va detto, l’unico pensatore italiano il cui pensiero si sia tradotto in una riforma è Franco Basaglia. Nessuno quanto lui è citato, e soprattutto a sproposito, vedi l’insistenza sulla frase dalla poesia (brutta) “Il P.C. ai giovani”, in cui si difendono i poliziotti figli del popolo rispetto agli studenti figli di papà, frase estrapolata dal contesto facendole perdere il vero significato.

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Riscoperto, fin troppo, anche da quei militanti dell’estrema destra che in vita lo insultarono, aggredirono e , probabilmente, uccisero, per via di un pensiero incollocabile, i cui cardini erano certo Marx e Freud, ma anche il suo “cattolicesimo arcaico”; non era, come si crede, contro il progresso, ma aveva aspetti di antimodernismo, che lo portavano, ad esempio, ad essere antiabortista (e, facendo psicoanalisi da rotocalco rosa, omosessuale: PPP affermava di vedere in ogni donna la madre e cercava il sesso solo come esperienza proibita/degradante, non ne aveva la concezione gioiosa che ne esprime, per esempio, Paoli Poli). Eppure nel suo pensiero non era mai incoerente, era estremamente lucido, profetico, nell’intuire tra le altre cose la vittoria dell’omologazione post moderna, diversamente da Basaglia che, pur non essendo un marxista ortodosso. non prescindeva dalla concezioni di classe. Pure, anche nel suo far scandalo, non fu un isolato come avvenne ad intellettuali fuori da ogni chiesa, come Flaiano, Manganelli, Petri, Jesi, Coccioli. Perché era un grande comunicatore, e anche in questo era avanti al suo tempo.

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Era certamente imprevedibile, estraneo ad a ogni branco o combriccola. Aveva orrore del luogo comune e della mediocrità, cosa che lo faceva sentire vicino solo a intellettuali coltissimi, o a persone delle borgate, e del terzo mondo. Amava giocare a pallone e, quand’era insegnante, leggeva agli studenti interi romanzi russi. Impossibile trovare un autore altrettanto spiazzante: potrebbe venire in mente Houellebecq, che però è molto più grossolano e, lui sì, sessualmente disturbato. Nell’epoca dell’iperspecializzazione fu un artista rinascimentale, che si produsse nella poesia, nella prosa, nel cinema, nella pittura, meditava anche di sperimentare il fumetto.

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Personalmente trovo imprescindibile il Pasolini saggista, didascalico il poeta, grandissimo il regista. Fu il cinema il campo dove diede il meglio (c’è, ovviamente, chi dice l’opposto), dove liberava quella che chiamava “la nota mozartiana”, cioè la leggerezza. Nel cinema passò dal neorealismo intriso da mitologie arcaiche di “Accattone”, all’esplorazione del teatro greco, al cinema di pura poesia dei corti, ai godardismi di “Teorema” e “Porcile” (forse oggi un po’ datati, ma pur sempre un unicum all’interno del cinema italiano), fino alla gioia de “Il fiore delle Mille e una notte”, e alla disperazione violenta e per nulla simbolica di “Salò”.

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La morte di Pasolini rimane uno dei grandi misteri italiani. L’unica certezza, scritta nella sentenza, è che gli esecutori furono in parecchi. E che la dinamica dell’omicidio fu di una ferocia inaudita. Forse le indagini si riapriranno, si chiarirà se centra il caso Mattei, se esecutrice fu la banda della Magliana. Concluderò citando un’osservazione di Marco Belpoliti, che condivido in toto: per ogni fatto che accade ci chiediamo “cosa ne penserebbe Pasolini?” (o Flaiano, o…), smettiamola. Cosa pensavano i grandi intellettuali lo sappiamo, e in ogni caso non ci sono più. Chiediamoci cosa ne pensiamo noi.