Leone d’oro alla carriera per Bertrand Tavernier

di Alfredo Sgarlato – Già annunciato il vincitore del Leone d’Oro alla carriera per la prossima Mostra del Cinema di Venezia: si tratta del francese Bertrand Tavernier. Se come me amate il cinema francese il commento non può che essere: chapeau. Tavernier, nato a Lione il 25 aprile 1941 cominciò la sua carriera come critico e lavorò come ufficio stampa. Inizialmente non apprezzato dalla critica di oltralpe per il suo ritorno alla classicità, al di fuori dai dettami della Nouvelle Vague, ben presto ha smentito ogni detrattore.

rmPersonalmente mi è più facile dire quale tra i suoi trentaquattro film non ho amato: solo “La vita e niente altro”, melodramma bellico che mi ha annoiato. Difficile dire quale sia il suo capolavoro: forse “Round midnight”, storia di un musicista jazz dalla personalità trasbordante, ispirato a Bud Powell e Thelonius Monk, e interpretato da un vero musicista jazz, il sassofonista Dexter Gordon, che rivelò insospettate doti di attore. Un film tenero e commovente come pochi.

Oppure potrebbe essere un film altrettanto tenero e commovente, “Daddy nostalgie”, storia di un padre e di una figlia che si ritrovano negli ultimi giorni della vita di lui, con una magnifica interpretazione di Jane Birkin e Dirk Bogarde. O, al contrario, due noir spietati come “Colpo di spugna”, dal capolavoro di Jim Thompson “Pop 1280”, con due mostri sacri come Philippe Noiret e Isabelle Huppert al meglio della loro bravura, o “L’esca”, terribile descrizione di una gioventù idiota e priva di valori. Ma anche il profetico “La morte in diretta”, agghiacciante anticipazione dei reality che sarebbero apparsi in tv molti anni dopo. Da vedere anche il documentario “Mississippi blues”, che documenta il suo secondo amore dopo il cinema, cioè la musica nera.

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In Italia, tranne che negli anni ’80, il cinema di Tavernier è stato distribuito male, confinato nei cineforum più lungimiranti o in passaggi televisivi notturni. Nel nuovo millennio è stato un po’ messo da parte, e ha girato film più sottotono, seppure sempre godibili.

Come regista ha pagato il suo essere eclettico, più facile amare e raccontare i registi che si concentrano su un’unica ossessione. Come per Chabrol e Melville, il suo nume tutelare ancora più che un cineasta è Simenon: la descrizione dei tipi umani e della vita di provincia, così accurata, gli deve molto. Dai suoi interpeti, Noiret il preferito, ha sempre saputo trarre il meglio: il suo è cinema più basato sulla sceneggiatura e la recitazione che sui virtuosismi di regia. Ama il cinema americano classico, su cui come critico ha scritto pagine fondamentali. Ma ha anche una passionaccia, non rara tra i grandi registi, per gli artigiani del grande cinema italiano: volle riportare sul set l’inventore dell’horror italiano Riccardo Freda, litigando immediatamente con lui. È anche un raffinato gourmet.

Come sempre, quando un grande regista ancora relativamente giovane prende un premio alla carriera, si è soddisfatti della scelta, ma si spera che sia solo un passaggio per vedere molti suoi nuovi film e rivedere quelli che abbiamo tanto amato.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato